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Il meme come Volontà e Rappresentazione


 

Testo di: Antonio Impellizzeri

Editing di: Yuri Sassetti e Andrea Peverelli

 


Il meme come volontà e rappresentazione

 

Tra le bizzarrie a cui il mondo di Internet ci ha abituati, i meme sono sicuramente la più interessante. La loro fenomenologia è assai complessa: talvolta si presentano come manifestazioni di pura frivolezza, talaltra si rivelano capaci di addentrarsi nel ginepraio delle questioni sociali e politiche. Questa accentuata oscillazione tematica è causata dal costante stato di vertigine e disorientamento in cui versa la società dei netizen[1], che concepisce la realtà ora come disordinato insieme di accadimenti da problematizzare, ora come monstrum da esorcizzare attraverso forme inedite di divertissement.

 

I meme - quasi sempre espunti dal novero delle espressioni artistiche - sono il prodotto (visivamente appagante e facilmente viralizzabile) di un efficacissimo linguaggio mediatico, dotato di una consolidata struttura elementare (immagine + testo) e di un’estetica caleidoscopica: un sistema comunicativo intuitivo che ridisegna i moduli espressivi della contemporaneità e definisce toni e stili della nuova «iconografia umoristica della società liquida»[2].



Una delle caratteristiche precipue di questo prodotto mediatico è la rapida obsolescenza; in un mondo iperconnesso che aborre il vecchio e cerca compulsivamente il nuovo, non c'è spazio per nulla di già visto. Neanche immagini da milioni di click  riescono a sfuggire alla damnatio memoriae, tutto viene dimenticato dopo poco tempo. A ciò che è si preferisce sempre ciò che sarà, in un gioco continuo di rimpiazzi in cui nulla è eterno e ogni cosa ha valore hic et nunc.

 


 Tutto ciò che è reale è razionale (?)

 

Due sono i possibili approcci a questa nostra «illogica, demenziale ma anche terrificante Era dell’Assurdo»[3]: la speranzosa ricerca di una via di fuga, una tana del Bianconiglio in cui addentrarsi per esplorare realtà chimeriche e mondi onirici, oppure una disincantata presa di coscienza dello stato in cui si trova la società, che non induca però al pessimismo estremo (deve sempre confortarci la possibilità - prospettata da Cartesio - che questa realtà, caotica e marcescente, sia in realtà frutto dell’opera ingannevole di un Genio maligno!).

 

Il meme si avvale di entrambi gli approcci.



C’è chi, di fronte all’avanzata politica di Donald Trump, inizia a sospettare che il mondo sia pericolosamente incappato nella darkest timeline:

E chi invece preferisce ironizzare sulla capigliatura - certamente bizzarra - del magnate a stelle e strisce:

 


Non manca chi ipotizza che proprio le piattaforme digitali siano state la culla dell’ alt-right. L’elezione di Donald Trump - espressione di questa destra alternativa - sembrerebbe inoltre «effetto di una polarizzazione che è anche risultato delle politiche identitarie della sinistra, della trasgressione come bandiera, del femminismo puritano, del vittimismo gay, della politica delle quote»[4].

 

Svastiche di pixel: memetic violence ed estremismo su Internet

 

Perché il noto social 4chan è diventato negli anni il terreno di crescita di movimenti ed idee appartenenti alla destra estrema statunitense? Chiede un utente su Quora. Su quel sito praticamente (quasi) tutto è concesso, risponde un altro.

 

È il 15 marzo 2019, sono le 13:40. Brenton Tarrant, un uomo di 28 anni fa irruzione nella moschea di Al Noor (Christchurch, Nuova Zelanda). Imbraccia un fucile su cui campeggiano i nomi di alcuni personaggi storici (Carlo Martello, Boemondo I d’Antiochia, Gastone IV di Béarn e molti altri), accomunati tutti dall’impegno profuso nella lotta contro l’Islam[5].



Una macabra celebrazione degli orrori compiuti dai crociati in partibus infidelium e da attentatori islamofobi di ogni tempo e luogo.

Il terrorista trasmette i primi 17 minuti dell’attacco in diretta su Facebook, grazie ad una videocamera montata sul casco che indossava. 51 morti tra la moschea di Al Noor e il Centro Islamico di Linwood.

 

 Come mette in luce Cathrine Thorleifsson, nei mesi successivi all’attacco, nella sezione /pol/ di 4chan, sono comparsi numerosi post e meme in cui il gesto nefando di Tarrant viene glorificato in quanto parte di una «palingenesis of the ultra-nation imagined as a white civilizational space»[6]. Il caso in oggetto - spia della pericolosità del fenomeno detto memetic violence - stimola un’inevitabile riflessione sui limiti della libertà di espressione online e sulla necessità di strategie sistematiche di controllo dei contenuti prodotti in rete.




  

È la fisionomia stessa di 4Chan a renderlo uno spazio intrinsecamente anarchico: nasce infatti come grande imageboard in cui ciascuno può esprimersi liberamente, il completo anonimato garantito ai posters e il carattere effimero dei threads (quelli inattivi vengono eliminati periodicamente) rendono difficile qualsiasi tentativo di identificazione degli utenti[7].

 

Ciò che rende pericolose le forme e le piattaforme di comunicazione informatica è la loro incredibile capacità simbiotica: in un’epoca in cui «the distinction between online and offline has been blurred as never before»[8], è molto difficile tracciare un confine tra ciò che è virtuale e ciò che non lo è. Ad aggravare ulteriormente la situazione è la diffusione di una preoccupante insensibilità agli effetti (potenzialmente) negativi del digitale, opportunamente descritta da Alex Afouxenidis e Petros Petridis come «a condition in which digital media have been naturalised to such an extent that their effects are not perceived and felt»[9].

In un contesto del genere, in cui cyberspazio e spazio reale sembrano essere due dimensioni sovrapposte,  «diviene […] urgente comprendere che per i nativi digitali l’agire reale non è più scandito dalla contrapposizione tra mondo fisico “offline” e virtualità “online” ma si è ormai giunti a un continuum […]»[10]. Dunque l’uso, ormai sistematico, delle reti informatiche (per comunicare, pagare, ricevere o fornire informazioni, leggere, scrivere etc.) sembra aver messo in crisi la tradizionale dicotomia reale/virtuale, in favore di un nuovo modello di pensiero che impone di concepire la realtà virtuale come una propaggine di quella fisica, non come un suo surrogato. 

 

 

Fonti immagini: imgflip.edu, usu.edu, lastampa.it


[1] Persone che partecipano attivamente alla vita sociale in Internet, frequentando comunità online, partecipando a conversazioni ecc. (Garzanti Linguistica)

[2] Domenico Papaccio, Meme, l’iconografia umoristica della società liquida in www.21secolo.news

[3] Mattia Salvia, Interregno. Iconografie del XXI secolo, NOT Nero Editions, 2022

[4] Franco Berardi, Futurabilità, NOT Nero Editions, 2018

[6] Cathrine Thorleifsson, From cyberfascism to terrorism: On 4chan/pol/ culture and the transnational production of memetic violence, Nations and NationalismVolume 28, Issue 1 p. 286-301 (DOI: https://doi.org/10.1111/nana.12780)

[8] Afouxenidis, A., & Petridis, P. (2023, June 27). Discourses and Politics of the far-right on social media. https://doi.org/10.12681/grsr.27599

[9] Ibidem

[10] M.G. Proli (2021) Prevenire i comportamenti antisociali e la radicalizzazione dei giovani attraverso Internet. L'esperienza del Progetto europeo "DIVE IN". Rief 18, 2: pp. 147-158. doi: https://doi.org/10.36253/rief- 10653.

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