Il corpo inerte della poesia
L’indagine sulla poesia è da sempre un tema delicato. Vi si accompagna una problematicità di natura epistemologica, che è intrecciata all’eredità storico-culturale europea: è lecito indagare la poesia? È anche solo possibile porre la possibilità stessa di un approccio analitico nei confronti del testo poetico? Il retaggio comune a tutta l’Europa (nucleo propulsore dell’intera poesia mondiale) imporrebbe una risposta negativa: la visione romantica e la sua nutrita progenie prescriverebbero tuttora un approccio mitizzato, personalista e metafisico alla poesia; anzi, un non-metodo, uno vero s-criterio metodologico.
Così il testo poetico è un’entità di livello superiore, generata da ispirazione onnipotente, fantasia pura e immaginazione assoluta, mai contestabile né tangibile, avvolta in un alone di mistero e dotata di sostanza essenzialmente emozionale, e perciò assisa su un trono più elevato nel consesso delle arti umane: la deontologia che viene ereditata da questo tipo di atteggiamento è simile a quella della medicina medievale, dove, se la poesia è corpo anatomico inerte, il poeta è il cerusico che fa dell’inoperabilità e dell’intangibilità del proprio oggetto di studio vanto intellettuale, come a conferire ad esso maggior qualità attraverso un atteggiamento che rifiuti qualsiasi contatto pragmatico con le cose. Noi crediamo che tale distacco sia imperdonabile, e che generi tanti cadaveri (poetici) quanti ne crea l’ottusità di un medico che si rifiuta di affondare le mani nel corpo umano per capirne i funzionamenti.
Potrà a questo punto venirci in aiuto un paragone linguistico. Il lemma “dire”, quanto mai centrale in poesia, si presenta come predicato tetra-argomentale: “chi, a chi, di cosa, in quale lingua (o modo)”. Il nostro intento è restituire questa delicata struttura al suo equilibrio, spesso soggetto, se si parla di poesia, a spostamenti d'asse a fine manipolatorio. In una prospettiva diacronica, si può riassumere così la storia di questi disequilibri: la critica tradizionale, dell’epoca classica, ha sempre posto attenzione al “cosa” del testo poetico e agli strumenti finalizzati alla sua espressione – la retorica, la metrica, l’eufonia, tutto ciò che compone il variegato panorama della “forma” tradizionale. La critica romantica, post-romantica, e, in Italia soprattutto, crociana, d’altro canto, ha spostato l’interesse sul “chi” della poesia, introducendo categorie imperative come la lirica (prima genere poetico, poi la poesia stessa), permettendo il dilagare di epidemie debilitanti (diarismo, autobiografismo, spettacolarizzazione della poesia) che fanno capo al concetto di mitizzazione dell’io. Infine, in tempi recenti, le scienze semiotiche e della comunicazione, in concomitanza con technai accessorie al mondo della letteratura quali l’editoria e il lavoro attoriale – si veda a titolo d’esempio l’esplosione del fenomeno di poesia orale -, hanno diretto prepotentemente l’attenzione al polo del ricevente-destinatario, il “a chi” della poesia, spostando il dibattito più sul pubblico del genere poetico e il relativo rapporto coi poeti che non sulla poesia stessa. Contro riduzionismi d’ogni sorta, è nostro preciso proposito, in questa serie di articoli, tornare a focalizzare il discorso poetico sul “come”, sul “in quale lingua”.
La prima dilogia di articoli si concentrerà sul tema dell’immagine poetica. Richiederemo l’aiuto di molti teorici della letteratura, a metà fra linguistica e critica letteraria, provenienti dall’ambiente formalista e strutturalista sovietico, ma anche a praticanti dell’attività poetica che hanno fatto della discesa verticale, tecnica, nella profondità del testo un proprio obiettivo.
Teologia negativa: cosa non è un’immagine
Risulta molto complicato definire in maniera precisa e tecnica cosa sia un’immagine poetica. Sarà possibile abbozzarne un approccio soprattutto negativo, affermando dunque cosa non è un’immagine poetica, e procedere a una classificazione che ne evidenzi le caratteristiche. Il lettore avrà quindi solo al termine della trattazione un’idea di cosa intendiamo per immagine.
Un primo sinolo costitutivo dell’immagine potremmo individuarlo nel connubio (fin troppo trascurato dalla tradizione linguistica) fra sintassi e semantica del testo poetico: nuclei di senso, interconnessi fra loro secondo un ordine riconoscibile. Con una felice e riassuntiva definizione di Jurij Lotman[1] ci avvicineremmo il più possibile al tentativo di definire l’immagine poetica in termini tecnici: «le parole poste l’una al fianco dell’altra formano nel testo artistico, nei limiti del dato segmento, un insieme semanticamente indivisibile». C’è l’esplicitazione del sinolo sintassi-semantica, ma non basta ancora.
Dobbiamo operare delle distinzioni di campo e delle sottrazioni. Cosa dunque, si diceva, non è l’immagine poetica? Su questo erano già chiari i formalisti russi, in particolare Viktor Šklovskij: «esistono due tipi di immagine. L’immagine come mezzo pratico di pensiero, strumento per riunire in gruppi gli oggetti, e l’immagine poetica, strumento per rafforzare l’impressione»[2], o «l’uso poetico dell’immagine, in quanto distinto dall’uso pratico, sta in un particolare spostamento semantico, nel trasferimento dell’oggetto rappresentato su un diverso piano di realtà. L’abituale è “reso strano”»[3]. L’immagine poetica non è, dunque, immagine nel senso tradizionale del termine. Non è dunque da confondersi, per quanto sia pacifica la sua natura anche sensoriale (multi-sensoriale), con l’immagine visiva. In questo ci giunge d’aiuto Ezra Pound:
Ogni concetto, ogni emozione si presenta alla consapevolezza viva sotto qualche forma primaria. Appartiene all’arte di questa forma. Se suono, alla musica; se parole composte, alla letteratura; le immagini, alla poesia; forma, al disegno; colore in posizione, alla pittura; forma o disegno in tre dimensioni, alla scultura.[4]
Una chiara tassonomia. Ma aggiunge anche, in contrasto con quanto diranno in seguito altri teorici formalisti: «si cerchi di non essere descrittivi: ricordate che un pittore può descrivere un paesaggio molto meglio di voi, e che egli deve conoscerlo assai più profondamente»[5], laddove invece Jakobson arriva a sostenere che «un’opera di poesia può a volte fare a meno delle immagini pur senza perdere nulla della sua potenza suggestiva»[6], mentre Špet, se pur concepisce l’importanza dell’immagine per il discorso poetico («nella poesia il tropo […] prende forma nell’immagine, in quanto parola immagine, sotto la guida costitutiva della forma interna artistica»[7]), la considera nelle sue qualità essenzialmente visive, parlando soprattutto, sulla scia della critica romantica, di «trasfigurazione mentale».
Pound, al contrario, in virtù della sua militanza poetica, ha le idee molto chiare in fatto di immagine: in una espressione incredibilmente felice, la definisce «il rendimento preciso dell’impulso»[8]. L’immagine poetica non è nemmeno sola parola, sola lingua, interpretabile dunque con operazione semiotica, o almeno non solo:
Imagismo non è simbolismo. Il simbolismo commerciava in “associazioni”, cioè in una specie di allusione. Certi simbolisti degradarono il simbolo alla condizione d’una parola. Essi ne fecero una forma della metonimia. […] Usare un simbolo con un significato attribuito o inteso è produrre un’arte pessima. L’immagine è il pigmento del poeta, ciò che presenta un complesso intellettuale ed emotivo in un solo istante di tempo. Non m’importa che egli sia rappresentativo o non rappresentativo. Egli dovrebbe naturalmente dipendere dalla parte creativa non mimetica o rappresentativa della sua opera […] Le immagini dell’imagista hanno un significato variabile. Se esse hanno un antico significato tradizionale, questo potrà servire come prova allo studente professionale di simbologia[9].
A commento di queste polemiche affermazioni può giungerci in aiuto un interessante e recentissimo contributo di Elena Fabietti, attraverso un’ottima analisi del poeta e critico Andrea Inglese, di cui vale riportare alcuni estratti:
Fabietti propone […] strategie figurative, basate su un modello semiotico orizzontale. Le immagini si combinano orizzontalmente in un legame non mimetico ma di somiglianza dissimile. Questo scarto teorico permette di liberare le immagini poetiche dalla “semantica insulare” del singolo tropo, e focalizzarsi sulle loro reciproche interazioni. Il testo poetico così non verrà più letto come un insieme di rappresentazioni simboliche da interpretare, ma come un continuum di immagini che si offrono all’occhio della mente, secondo modalità di volta in volta differenti, in accordo con lo stile adottato[10].
Parole che ricordano molto da vicino le osservazioni di Pound. In sostanza, la triade che abbiamo qui presentato (Pound-Fabietti-Inglese) è concorde nel presentare l’immagine poetica come:
· Dispositivo fondamentale della costruzione poetica.
· Elemento, a metà fra sintassi e semantica, di cui la lingua poetica si compone e, attraverso il cui modellarsi, la lingua si modella.
· Distinta dall’immagine di uso “pratico”, figurativa o prettamente linguistica (come organizzazione di pensieri a fini di economia della lingua), ma da cui raccoglie certe caratteristiche, come la lingua poetica origina dalla lingua comune.
· Caratterizzata da una insita forza interpretativa elusiva, che ne realizza quella simultaneità pluri-dimensionale che estrae il linguaggio dalla sua altrimenti condizione di linearità, in quanto sequenza di segni.
L’immagine, in sostanza, è un piccolo mondo in miniatura, semanticamente coeso e sintatticamente integrato[11], in cui cola ogni manifestazione della realtà, esperita o meno dal poeta, e che realizza un sistema individuale irripetibile di relazioni e soluzioni stilistiche. Riprendendo ancora una volta una pregnante soluzione di Lotman:
Il poeta non “descrive” solo un qualunque episodio che appare uno tra la moltitudine dei soggetti possibili, che nel loro insieme costituiscono l’universum, tutto l’insieme universale dei temi e degli aspetti. Questo episodio diventa modello di tutto l’universum, lo riempie della sua unicità, e allora tutti gli altri possibili soggetti, che l’autore non ha scelto, non sono racconti su altri angoli del mondo, ma sono altri modelli di quello stesso universum cioè sono sinonimi soggettuali dell’episodio realizzato nel testo.[12]
[1] J. Lotman, La struttura del testo poetico, a cura di E. Bazzarelli, Mursia, 1972, p.110 (per ulteriori informazioni sull’autore: https://it.wikipedia.org/wiki/Jurij_Michajlovi%C4%8D_Lotman). [2] V. Šklovskij L’arte come procedimento, in L’arte come procedimento, in I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, a cura di Tz. Todorov, 2003 (1968), p. 78 (per ulteriori informazioni sull’autore: https://it.wikipedia.org/wiki/Viktor_Borisovi%C4%8D_%C5%A0klovskij). [3]V. Šklovskij, in V. Erlich, Il formalismo russo, Bompiani, 1964 (1966) p. 79. [4]VORTEX, in “Blast”, 1914, in Ezra Pound – Opere scelte, a cura di M. de Rachelwitz, Meridiani Mondadori, 1970, p. 1196. [5]Uno sguardo indietro, in Pavannes and Divisions, 1918, in Ezra Pound – Opere scelte, cit., p. 905. [6]R. Jakobson, Vybrané spisy A. S. Puškina, vol. I, Praga, 1936, in Il formalismo russo, cit., p. 189. [7]G. G. Špet, La forma interna della parola. Studi e variazioni su temi humboldtiani (1927), a cura di Michela Venditti, Mimesis, 2015, p. 186. [8]Uno sguardo indietro, cit., in Ezra Pound – Opere scelte, cit., p. 910. [9]Vorticismo, in “Il Mare”, 1933, in Ezra Pound – Opere complete, cit., pp- 1203-5. [10] (Passim) A. Inglese, Verso una semiosi orizzontale: retorica e immagine, in Teoria&Poesia, in Teoria&Poesia, a cura di P. Giovannetti e A. Inglese, Biblion, 2018 p. 115. [11] L’aspetto della sintassi è esplicato in Inglese, secondo noi correttamente e in maniera molto acuta, dal paragone con la teoria del montaggio sovietica di Ejzenstejn e Kulešov. [12]La struttura del testo poetico, cit., p. 38.
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