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LA TEORIA FORMALISTA SOVIETICA - Parte 1: il modello cibernetico di Andrej Kolmogorov


«Abbiamo bisogno delle parole non soltanto per esprimere un pensiero o designare un oggetto. Abbiamo bisogno di parole che trascendano il senso»

Così Viktor Šklovskij lanciava la propria sfida teorica ai propri colleghi, i formalisti sovietici. Da pochi è stata colta, e ancora meno hanno prodotto una modellizzazione coerente. Ciò che tenteremo di fare noi in questa sede, tramite una serie di articoli, è porre rimedio a una tale lacuna teoretica, raccogliendo frammenti dispersi del discorso su una semantica del testo poetico moderno (a grandi linee dalla metà dell’800 al contemporaneo) e completandoli con nostre aggiunte.


Il Senso di un testo poetico


La domanda fondamentale a cui non si è ancora data una risposta è: cosa fa esattamente la lingua poetica? E come lo fa? È di dominio pubblico, fin dai manuali di storia letteraria, che nella poesia moderna il “contenuto” sia andato gradualmente a mescersi con la “forma” (nelle due accezioni classiche), venendo a creare un nesso indistinto, e che di conseguenza non si possa più parlare effettivamente né di forma né di contenuto, quanto piuttosto, per dirla coi formalisti, di “materiali” e “artifici”. Si assiste anche a un prepotente declinare della componente comunicativa nel testo poetico: ciò significa che la poesia non ha, tout cour, un contenuto? Il teorico letterario tedesco Hugo Friedrich[1] ha introdotto interessanti riflessioni a riguardo: «la poesia non si può più comprendere a partire dal contenuto delle sue espressioni. […] è ancor sempre linguaggio, ma un linguaggio senza un oggetto comunicabile»[2]. Il contenuto semantico di una poesia diventa così sfuggente, perché liberato dalle proprie imposizioni contenutistiche tradizionali. Ma soprattutto perde la sua nuclearità, nel venir meno della possibilità di un senso come sommatoria di elementi singoli.


«La parola come nota e suggestione è staccata dalla parola come ancella di un tessuto di senso comunicabile. Nella parola vengono sprigionate forze alogiche che guidano l’espressione»[3].

Entra a questo punto in gioco una nuova forza coesiva, che da particolare e componenziale si fa strutturale e complessiva, universale: un’immagine singola, un gruppo di immagini, attraverso una rete di interconnessioni, cooperano alla costruzione di un senso strutturato e strutturale. «Testo come “totalità in funzione”, in cui giocano diversi tipi di concatenazioni (lineari, ma anche spaziali) ed in cui sono poste certe relazioni di equivalenza»[4]. Tale dinamica di testo e contesto, che rivela le disparità e i conflitti interni della poesia risolti in tensioni linguistiche, si determina, a un livello superficiale, in un “effetto di struttura”, o in una generale “aura semantica” (concetti già abbozzati dal formalismo russo) che traspare dalla poesia, una sorta di vaga guida, generata da parole disseminate lungo il testo, addomesticabili alla propria esperienza di lettore, che portano a una superficiale comprensione di un discorso poetico: a un livello più profondo invece si può facilmente comprendere come questa superficie non basti a definire il senso. È necessario allora, per riportarlo alla luce, discendere nel porto sepolto dei piani della lingua, nelle stratificazioni della struttura, e rivelare le dinamiche di sistema. È fondamentale tenere presente questa dinamica inesausta di costante ricerca di un senso all’interno della lingua stessa, caratterizzata comunque dalla «tendenza a tenersi più lontana possibile dal comunicare contenuti univoci»[5], una costante tensione alla sublimazione dei significati in qualcosa che è altro da sé.


«Il riscatto della frase dall’oppressione del significato convenuto: questo è neocontenuto»[6].

Eppure, se tale neocontenuto non è comunicabile, come può costruirsi qualsivoglia discorso critico attorno alla poesia? Il neocontenuto della poesia moderna, aggiungevano i critici della nostra Neoavanguardia, è «la soluzione di un conflitto attraverso il linguaggio ed è l’organizzazione coerente di forze opposte»[7], e rivela dunque, a una visione particolare, quelle ferite del linguaggio, quelle tensioni interne che, a un livello più profondo, si risolvono in un sistema semantico omogeneo, misurabile come il risultato della dinamica interna delle immagini: «le parole poste l’una al fianco dell’altra formano nel testo artistico, nei limiti del dato segmento, un insieme semanticamente indivisibile»[8]. Stabilire poi precisamente questo senso, o “neocontenuto”, costruire un discorso coerente su un dato sistema poetico una volta indagate le relazioni sistemiche in ognuna delle sue componenti, è compito della critica. Ma un critico non potrà esimersi, per nessuna ragione, dal considerare tale aspetto, vale a dire ignorare la lingua poetica per saltare immediatamente a valutazioni “contenutistiche”, cioè tematiche nel senso classico del termine.


Considerazioni critiche a parte, il costrutto poetico moderno viene a configurarsi come il risultato di un paradosso: “un linguaggio senza un oggetto comunicabile”, eppure espressione di un “neocontenuto” liberato dalle pastoie di una semantica codificata in maniera tradizionale (quella della lingua quotidiana, la cosiddetta lingua naturale). È dal conflitto che nasce l’espressione poetica, una lacerazione interna risolta nel linguaggio, una lingua codificata e diversa da quella di comunicazione quotidiana, dotata di una maggior densità, intesa come capacità di veicolare informazione. In quanto tale, il testo poetico può essere valutato alla luce della teoria dell’informatica: un dispositivo capace di immagazzinare una certa quantità di informazione (definibile o meno in termini di “contenuto” tradizionale, non ci deve interessare), e dunque un insieme di dati quantificabili come interazione fra bit (le immagini del testo poetico), comunicati secondo un codice preciso che deriva da quello della lingua naturale.



Entropia semantica e spostamenti di senso: il modello cibernetico


A questo proposito, il matematico russo Andrej Kolmogorov[9] ha proposto un’interessante teorizzazione formale (definita cibernetica per il suo tentativo teoretico di interfacciare il linguaggio umano con le modalità tipiche di un’unità logico-aritmetica, cioè una macchina) dell’entropia semantica in un testo poetico[10], già misura della quantità di dati trasmessi (in bit) nel campo della teoria dell’informazione, e dunque ora intesa come la “coglibilità” del senso di un testo poetico, la misura del contenuto dell’informazione artistica. I primi studi della sua scuola si sono concentrati sulla prosodia e la misurazione statistico-matematica delle forme metriche, partendo dall’assunto fondamentale per cui il metro poetico (ancora di larghissimo uso nella poesia russa del 900) fosse una realizzazione particolare della normale prosodia del parlato. Da tale assunto, Kolmogorov è passato a considerare le peculiari possibilità informative del metro poetico, che, nonostante lo spazio limitato, tende a veicolare una maggior densità di informazione rispetto al parlato naturale; da qui, conseguentemente, gli studi sul valore di contenuto informativo della lingua poetica e la sua dispersione entropica nella teoria dell’informazione di cui ci occupiamo nel nostro articolo.


«Un testo poetico può trasmettere e immagazzinare più informazione di ogni altra tipologia di testo, perché la sua lingua, la lingua poetica dell’arte, consiste in una gerarchia di linguaggi codificati. Perciò un racconto di Čechov può trasmettere e immagazzinare molta più informazione di un manuale di psicologia.»

Venendo alle formulazioni matematiche, si può affermare che l’entropia della lingua poetica (H) è formata da due grandezze: la capacità di significato (h₁), cioè la capacità di trasmettere una certa informazione artistica, e la plasticità della lingua (h₂), cioè la possibilità di esprimere lo stesso contenuto con mezzi diversi, aventi pari valore. Lingue in cui h2 = 0, per esempio le lingue artificiali o il linguaggio della scienza, dove si esclude da principio la possibilità della sinonimia, non possono servire come materiale per l’espressione poetica[11].

Ciò che è rilevante per noi è un risvolto dell’interazione fra queste due grandezze: la plasticità di una lingua è determinata dalla facoltà metaforica, così tipica, da sempre, del linguaggio poetico. L’essenza della metafora è sostanzialmente uno spostamento di significato, di norma deviazione eccezionale dallo standard[12]: «le non regolarità ricevono nell’arte un senso strutturale»[13].


Dunque, essenza del moto semantico interno a un testo poetico è proprio questa capacità di deviazione da una codificazione data a priori: ciò che Alessandro Manzoni definiva i «traslati della lingua», gli «accozzi inusitati di vocaboli usitati»[14], «quelle sfumature periferiche di significato della parola che non rientrano tra gli elementi abituali della lingua quotidiana (venendo a oscurare) il nucleo semantico centrale»[15], o ancora quelle «significazioni riposte solo nelle zone marginali di una parola o che scaturiscono da un anormale collegamento di parole»[16]. È attraverso queste “zone semantiche marginali”[17], zona di transizione fra h₂, le possibilità di espressione, e h₁, il contenuto espresso vero e proprio, che si determina il grado di entropia del sistema linguistico della poesia, cioè la recoverability dell’informazione, la possibilità di risalire al contenuto informativo di una locuzione, e dunque al Senso strutturale del sistema poetico di riferimento.


Kolmogorov passa poi a formulare una legge, che potremmo definire della “possibile creazione artistica”, secondo cui la creazione poetica è possibile solo se e quando il contenuto informativo effettivamente espresso (dunque h1) secondo le limitazioni e le modalità inerenti alla lingua poetica stessa (β: il procedere per immagini, per traslati semantici, per metafore…), non eccede le possibilità espressive della lingua (dunque h1) – o, in altre parole, quando le possibilità di esprimere un contenuto sono maggiori del valore del contenuto effettivamente espresso -: in termini matematici, β < h2. In una lingua in cui β ≥ h2, la creazione poetica non è possibile – e dunque, più semplicemente, quando avviene il caso di h2 = 0, le lingue scientifiche o artificiali, in cui la precisione lessicale è assoluta e ogni concetto è espresso in una e una sola maniera: il valore del contenuto effettivamente espresso supera le possibilità altre di esprimerlo -.


Riassumendo, il modello cibernetico di Kolmogorov prevede tre misure basilari per la misura dell’entropia, intesa come la dispersione dell’informazione, nel testo poetico:


● La varietà del contenuto possibile nei limiti inerenti di un testo (h2 β[18]). L’esaurire tale varietà di contenuto produce contenuto linguistico informativo generico.

● La varietà delle modalità di espressione di uno stesso contenuto secondo i limiti inerenti di un testo (h1 β). L’esaurire tale varietà di modalità espressive produce contenuto linguistico informativo poetico.

● I limiti strutturali di un testo (la costante β) posti alla flessibilità di una lingua. Tale costante diminuisce l’entropia del secondo tipo, quella poetica, assicurandone la densità.


Si pone a questo punto una problematica, dal punto di vista del fruitore[19]:


«L’espressione diventa per lui (il fruitore) contenuto, egli riceve il testo poetico non come uno dei possibili, ma come l’unico e non ripetibile. Il poeta sa che può scrivere diversamente; per il lettore del testo recepito come artisticamente perfetto, non c’è nulla di casuale.»

Ecco che dunque l’entropia di h2 è percepita come l’entropia di h1: vale a dire, la plasticità della lingua poetica e le sue infinite soluzioni espressive sono appiattite contro l’unico contenuto espresso, che è il solo percepibile. Per il fruitore la sostituzione di una parola o di un’intera immagine non è una variante, un’emanazione della plasticità della lingua poetica (h2), ma nuovo contenuto. È come se per un fruitore non potessero esistere sinonimi. E tuttavia, proprio per questo, egli percepisce il contenuto poetico come un nuovo tipo di contenuto, che non potrebbe essere espresso altrimenti in altri contesti linguistici: la plasticità della lingua poetica (h2) si tramuta in un’addizionale capacità semantica, venendo a generare una speciale entropia del contenuto poetico, una gemmazione incontrollata di contenuto informativo, che può essere definita h’1. Perché, ad esempio, nei folgoranti versi di Milo De Angelis «“Dove sei”, mi chiede, in una lingua / indimostrabile, e non parla», quella “lingua indimostrabile” ci sembra non solo sufficiente a se stessa, ma assolutamente necessaria? Il poeta avrebbe potuto esprimere lo stesso concetto con infinite altre soluzioni (h2), o addirittura esprimere un concetto del tutto differente (h1), aumentando l’entropia del contenuto poetico; ma per noi fruitori ci sembra che tale operazione mentale non sia nemmeno avvenuta. L’entropia della lingua è a zero, per il fruitore, non ci sono altre possibilità espressive, seppure perfettamente ipotizzabili. Per l’autore, al contrario, l’entropia della lingua è massima: è un mare di possibilità che vengono a realizzarsi in una sola soluzione.


Si giunge dunque alla conclusione per cui il processo artistico della creazione poetica dal punto di vista dell’autore è H = h1 + h2, cioè la misura dell’entropia di un testo poetico che porta alla sua densità è data dalle due misure h1 e h2, l’effettivo contenuto espresso secondo le limitazioni della lingua e le possibilità espressive; lo stesso processo, al contrario, per un fruitore, alla luce delle ultime considerazioni secondo cui esso non percepisce la misura h2 della plasticità della lingua, si tramuta in H = h1 + h’1 / H = h1 + (h1 + β), ovvero la misura dell’entropia di un testo poetico fruito è data dalle due misure h1 e h’1, l’effettivo contenuto espresso secondo le limitazioni della lingua e il nuovo contenuto poetico (il neocontenuto di Giuliani alla nota 6) percepito come l’unico possibile ed espresso nella sola maniera presentata dall’autore, secondo le limitazioni e le modalità inerenti alla lingua poetica stessa (β).


E dunque, secondo il modello cibernetico, il processo di creazione poetica (la sua modulazione materiale per costrutti linguistici, non la sua insondabile ispirazione) può essere immaginato come l’unità logica di un computer, che produce, nel caso dell’autore, una macchina di Turing, un sistema che, a partire da input definiti, produce soluzioni virtualmente infinite; nel caso del fruitore, invece, un cosiddetto automa a stati finiti che procede per catene markoviane, in cui il passaggio da uno stato a un altro del sistema (idealmente, da immagine a immagine in un testo poetico) è precisamente determinato e determinabile a partire da quello precedente, in una catena continua e ininterrotta di soluzioni che non lasciano spazio a possibilità alternative.


In ultimo, una visione della testualità come “totalità in funzione”, sistema concluso di infinite possibilità realizzatesi nell’unica percepita come vera secondo un “preciso rendimento dell’impulso” (Pound): «Il poeta sa che può scrivere diversamente; per il lettore del testo recepito come artisticamente perfetto, non c’è nulla di casuale»[20].



Il modello cibernetico di Kolmogorov nelle due soluzioni possibili: secondo l’autore e secondo il fruitore.

 

[1] Uno dei massimi critici e teorici della letteratura del 900; il suo capolavoro, La struttura della lirica moderna (1956), è ormai un classico del genere, ma è stranamente misconosciuto. [2] H. Friedrich, La struttura della lirica moderna, 1956, Garzanti, 2002, p. 16. [3] Ivi, p. 93. [4] Gruppo μ, Iosotopia e allotopia: il testo retorico, in Retorica della poesia, cit., p. 66 [5] H. Friedrich, La struttura della lirica moderna, cit., p. 14. [6] A. Giuliani, La poesia, che cosa si può dire, cit., in Gruppo 63, L’antologia / Critica e teoria, Bompiani (II), 2013. [7] Gruppo μ, Il modello triadico, cit., in Retorica della poesia, cit., p. 107. [8] J. Lotman, La struttura del testo poetico, a cura di E. Bazzarelli, Mursia, 1972, p. 110. [9] Solo incidentalmente A. Kolmogorov si è occupato di teoria letteraria e linguistica. A lui si devono alcuni degli avanzamenti più importanti nella matematica e nella logica del 900, ma la sua scuola di “Lingvistika matematičeskaja”, linguistica matematica, ha fondato la linea della “linguostatistica” e ha prodotto, fra le altre cose, fondamentali studi sulla ritmica e la metrica dei più importanti poeti russi del XX secolo (uno su tutti il Ritmika poèm Majakovskogo del ‘62, sulla prosodia di Majakovskij). [10] Una trattazione esaustiva può essere trovata in Lotman, La struttura…, cit., cap. I (L’arte come lingua), pp. 35-40. [11] Con “sinonimia” non intendiamo qui la figura retorica, o figura d'espressione, ma, a un livello più generale, la possibilità stessa dell'opposizione fra concetti, che nella scienza è esclusa a priori: il concetto dell’attrazione elettromagnetica indica una e una sola cosa, non ha connotazioni sottese, non può essere usato con sfumature particolari dipendenti dal contesto. La semantica della scienza è unilaterale, non ammette sinonimi concettuali, perché si pone come obiettivo di base la descrizione precisa e assoluta di fenomeni. [12] Per quanto comunque il processo metaforico e i suoi vicini retorici costituiscano una parte fondamentale della comunicazione quotidiana. Sarà a questo punto un’analisi del livello quantitativo di metaforìa, nettamente superiore in un testo poetico, a determinare la deviazione dalla norma standard. [13] J. Lotman, La struttura del testo poetico, cit., p. 92. [14] Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione (1830), a cura di Silvia De Laude, con interventi sul romanzo storico (1827-1831) di Zajotti, Tommaseo, Scalvini a cura di Fabio Danelon, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2000 (Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni, vol. 14). [15] V. Vinogradov, O zadačach stilistiki (L’analisi stilistica), Pietrogrado, 1923, in I formalisti russi, cit., p. 113. [16] H. Friedrich, La struttura della lirica moderna, cit., p. 193. [17] Ivi, p. 50. [18] Nb. = proporzionale a. / = inversamente proporzionale a [19] Il modello di Kolmogorov si limita alla prima formulazione. Queste ulteriori speculazioni teoretiche sono nostre e non appartengono alla sua scuola. [20] J. Lotman, La struttura del testo poetico, cit., p. 36.

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