Abbiamo finora delineato un modello qualitativo che ci permette di collocare i due principali basandosi sulla modalità di trattamento dell’evento narrativo. In questa seconda parte, ci interroghiamo sulle sue possibilità di applicazione al genere cinematografico. Ci troviamo, dunque, a confrontarci con la seconda parte dell’identità:
CORTOMETRAGGIO : LUNGOMETRAGGIO
Prima di procedere, è necessario introdurre ad alcune premesse che informino in maniera esaustiva il senso del parallelismo fra generi. Intendiamo qui il genere cinematografico come una delle modalità in cui prende forma un evento narrativo, che non è necessariamente associato ad una narrazione. Ci riferiamo all’evento narrativo come realizzazione di un soggetto attraverso un flusso temporale di immagini. Tale realizzazione può esplicarsi tramite una vera e propria narrazione oppure prescinderne; sarà l’orientamento del creatore a definire questo aspetto, realizzato grazie alla scelta delle soluzioni espressive e degli strumenti tecnici che le sostengono. Per quanto riguarda il nostro ragionamento, ci collochiamo al primo livello, quello dell’esplicitazione dell’evento narrativo. Per questa ragione possiamo permetterci di ‘ignorare’ il fatto che il genere del cinema si esplicita come medium a sé rispetto al medium letterario. In altre parole, un discorso generale sull’esplicitazione dell’evento narrativo non necessita di passare attraverso un esame delle caratteristiche tecniche del medium di cui si serve: qualsiasi sia il medium, è l’evento narrativo di cui sostiene la realizzazione il territorio comune ai due generi (letterario e cinematografico). È sempre soltanto a questo livello che si muoverà il tentativo di estendere il modello del continuum narrativo al di fuori del medium letterario. Un’altra premessa fondamentale ricalca quanto detto per il genere letterario. Per sua stessa natura, il modello che proponiamo definisce un campo di applicazione per forza di cose limitato e circoscritto. Soltanto opere che rispondono a caratteristiche prototipiche standard vi rientreranno, e secondo un gradiente di applicabilità variabile. Come per romanzo e racconto, anche per il genere cinematografico risulta complicato adeguare ciascuna sua manifestazione al ristretto campo di applicabilità del modello proposto. Tuttavia, non è necessario che l’ipotesi coinvolga l’interezza delle possibili realizzazioni; basta, in questo senso, che riesca a produrre una risposta di natura non meramente quantitativa al problema delle differenze fra forma breve e forma estesa del trattamento dell’evento narrativo, la quale possa applicarsi a livello prototipico e standard. Le eccezioni (programmatiche e non) non snaturano il modello, ma per loro stesso statuto lo mettono in discussione per generare un’alternativa.
Come apparirà maggiormente chiaro più avanti, il senso del parallelismo fra generi (e dunque fra medium) non risiede tanto nell’assegnare loro un gradiente di identità, quanto piuttosto informare una riflessione qualitativa sulla modalità di trattamento dell’evento narrativo che ciascun medium realizza.
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Espandendo il continuum narrativo
Il problema delle caratteristiche proprie del racconto, di difficile trattazione se si è interessati a sfumature qualitative riscontrabili e circoscrivibili, si pone anche nel caso del cortometraggio. Sappiamo che, materialmente, si tratti di un girato di minore estensione (quindi di minor spazio e tempo narrativi), ma quando richiesti di definirne il differenziale qualitativo rispetto al lungometraggio rischiamo uno stallo concettuale. Qui ci interessa rivestire il problema delle stesse spoglie, rifacendoci nuovamente al modello del continuum narrativo. Nel caso del genere del cinema, all’estremo occupato dal racconto si colloca il cortometraggio, mentre all’estremo del romanzo inseriamo il lungometraggio. Ne consegue allora che anche il cortometraggio sia contraddistinto dalla subordinazione della narrazione al suo pretesto fondativo, subordinazione che viene invece ribaltata nel caso del lungometraggio [1]
Il modello in sé non consente di analizzare in che cosa si distinguano i poli dal punto di vista della realizzazione e dell’elaborazione dell’evento narrativo; per una disamina di questo tipo occorrerà esplorare i mezzi attraverso i quali il cinema esplicita il proprio statuto di medium narrativo e visuale. Ciò che ci preme qui è cercare di delineare uno sguardo che permetta di avvicinare il problema delle differenze qualitativamente percepite da un lato (quello del fruitore) e di ciò che fonda le differenze qualitative dall’altro (quello dell’autore).
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Eyes-on: dal concetto alla realizzazione
Proviamo come nel precedente articolo a dare sostanza all’ipotesi, sperando di eluderne la natura autoreferenziale. Sull’onda degli esempi considerati finora, ci occuperemo qui di due cortometraggi, connotati rispettivamente l’uno dall’essere pura realizzazione di un’idea/pretesto, di cui una certa quantità di narrazione è strumento di generazione, l’altro dall’avere una trama narrativa riconoscibile, pur rimanendo invariato il rapporto fra chiave narrativa e sua scaturigine.
Next floor (Denis Villeneuve, 2008)
L’idea alla base del cortometraggio diretto da Villeneuve viene confezionata agli occhi dello spettatore in brevi sequenze: un gruppo di persone, contraddistinte da eleganza e bon ton, è riunito attorno ad una ricca tavola imbandita e consuma quello che inizialmente appare come un ‘semplice’ banchetto dalle proporzioni pantagrueliche. Servite minuziosamente da una squadra di camerieri diretti da un maitre, le portate si avvicendano sulla tavola, divorate con una voracità che stona con l’immagine aristocratica e raffinata dei commensali. Il turning point che annuncia il pretesto avviene quando, all’ordine del maitre: “NEXT FLOOR!” (che dà il titolo all’opera), l’intera tavolata precipita da un’improvvisa voragine apertasi nel pavimento, approdando così al piano inferiore. L’abbuffata prosegue imperterrita, nonostante le prime reazioni di sbigottimento degli astanti, come se nulla fosse successo, rimpinguata prontamente dalla servitù, altrettanto noncurante dell’accaduto. Il meccanismo si ripete poi svariate volte per svariati piani, rivelando il loop su cui si fonda la sua narrazione.
Come nel caso delle vicende di Giuseppe Corte in Sette Piani, la narrazione è mero strumento di attuazione del suo pretesto ed è funzionale a rivelarne la natura circolare e ripetitiva. I personaggi partecipano del meccanismo, quasi ne fossero loro stessi ingranaggi motori; privati, dunque, di una connotazione al di fuori del pretesto che aiutano a realizzare, si trovano ad essere semplice mezzo, senza alcuna caratterizzazione. Non esiste una trama narrativa, solo una narrazione che permette all’idea che la fa scaturire di realizzarsi: il pretesto supera e assorbe la narrazione attraverso cui prende corpo.
Fauburg Saint-Denis (diretto da Tom Tyker e contenuto nel film collettivo Paris je t’aime, 2006)
Il secondo corto presenta una traccia narrativa più riconoscibile e ripercorre attraverso flashback la vicenda amorosa di una giovane attrice e dell’amante, un ragazzo non vedente. Anche in questo caso, come l’opera lascia presagire, c’è sempre una dipendenza della narrazione rispetto al suo pretesto, che viene però introdotto tramite uno stratagemma di carattere narrativo, ovvero un malinteso telefonico fra i due amanti che fa scturire il racconto delle loro vicende trascorse.
Ci troviamo di fronte alla realizzazione dello stesso meccanismo compositivo: oggetto del corto è il malinteso, occasione da cui scaturisce la narrazione che poi ne esplicita i presupposti. Il predominio della narrazione non si realizza, dal momento che lo spettatore è consapevole che senza il suo pretesto non si sarebbe mai creata l’occasione per raccontare le vicende dei due amanti. Sul fraintendimento e il malinteso gioca l’intero lavoro e continua a girarvi attorno, rinnovandolo e ribadendolo. Ne è un esempio uno dei primi frammenti della storia d’amore, quello del primo incontro fra i due amanti, che avviene quando, attirato dalle urla, il giovane cieco arriva alla finestra della ragazza, spalancata sulla strada, offrendole aiuto. Basta poco per svelare l’equivoco: lei è un’attrice che sta provando una parte, dentro cui si è calata in modo talmente realistico da lasciar credere stesse davvero subendo una violenza.
La trama narrativa esiste solo in funzione dell’esplicitazione del suo pretesto, come nel caso dell’acquisto del costume da cammello per la festa in maschera ne “La parte posteriore del cammello”. Ancora una volta, la narrazione non scioglie il pretesto, ma ne è strumento realizzativo.
Ci troviamo in una situazione ben diversa, dunque, da quella che ci si presenta di fronte quando vediamo proiettato un lungometraggio. Qui, come nel romanzo, l’evento narrativo domina l’impalcatura compositiva dell’opera, sorpassando il suo pretesto fino a renderlo ininfluente e/o irrintracciabile. La narrazione per immagini tipica del lungometraggio predilige l’utilizzo di sequenze narrative, che disciolgono l’evento narrativo, dilatandolo e dispiegandolo. Se anche c’era un pretesto, una causa da cui esso è scaturito, la narrazione che ne origina diviene il reale oggetto dell’opera, diluendo il pretesto fino alla sua scomparsa.
Vale la pena qui sollevare una questione forse cruciale. Come spesso accade, il genere del cinema può operare un doppio passaggio: non solo dal pretesto (fittizio o reale) alla narrazione, ma anche da un oggetto già definito e conchiuso e quindi necessariamente reale (un’altra opera di un altro genere, come un romanzo o un racconto) ad un altro oggetto altrettanto definito e conchiuso, totalmente differente da quello originario. In altre parole, il cinema può realizzare degli adattamenti.
Mentre un romanzo o un racconto possono avere come oggetto un avvenimento realmente accaduto come un avvenimento di pura fantasia, di contro il prodotto cinematografico può anche avere come oggetto un altro oggetto narrativo. Nel caso dell’adattamento cinematografico il nostro modello va incontro ad un impasse non indifferente: come può mantenersi intatto il parallelismo della differenza nel rapporto fra pretesto e narrazione nel cortometraggio (referente del racconto) e nel lungometraggio (referente del romanzo) se esistono lungometraggi tratti da racconti? Il problema è concreto e merita adeguata attenzione; come premessa, tuttavia, va considerato che si tratta pur sempre di un intervento nient’affatto neutrale né passivo, che di fatto trasfigura l’oggetto di partenza, rendendolo qualcosa d’altro.
Tale effetto di ‘manipolazione’ giunge persino a sovvertire l’ordine di relazione fra pretesto e narrazione: nell’adattamento da un racconto (pretesto > narrazione) ad un lungometraggio (narrazione > pretesto) si opera una sorta di salto all’interno del continuum, che è definito in primo luogo dal salto di genere e medium. Possiamo dunque eludere il problema affermando che il modello opera soltanto quando l’oggetto di un prodotto cinematografico non è un altro prodotto di altro genere. Il ‘salto di genere’ sancisce un mutamento del medium espressivo, che rimescola le carte in tavola. Per questo motivo, l’adattamento non può essere considerato allo stesso modo di un prodotto che ha come oggetto un avvenimento reale o di fantasia non precedentemente oggetto di un altro prodotto.
Abbiamo quindi finora delineato un possibile parallelismo qualitativo fra racconto e cortometraggio nel trattamento dell’evento narrativo, avvicinandolo grazie al raffronto con i loro referenti narrativi quantitativamente più estesi del romanzo e del lungometraggio. In altre parole, ci siamo occupati di quanto avviene dal lato del fruitore; l’ultimo pezzo del trittico guarderà invece all’altro lato, quello dell’autore, cercando di ragionare sulle motivazioni alla base della scelta dell’uno o dell’altro genere narrativo e/o narrativo-visuale.
[1] Ci stiamo riferendo qui a due forme di trattamento dell’evento narrativo attraverso la scelta del medium cinematografico; richiamando l’identità iniziale (racconto:romanzo=cortometraggio:lungometraggio), le definiamo come due forme contraddistinte da differenze quantitative (una breve ed una più estesa), ma anche qualitative (tramite il modello del continuum narrativo). Abbiamo quindi scelto esempi di opere che occupano a pieno titolo una posizione interna al solco della tradizionale concezione del mezzo filmico (l’esplicitazione dell’evento narrativo per il tramite dell’impiego di una narrazione). La scelta di tali esempi dunque non ha alcuna pretesa universalizzante, non potendo ricoprire per intero la variegata gamma di manifestazioni proprie del genere. Tuttavia, crediamo che quello del continuum rimanga un valido strumento di approccio, considerando le sfumature di applicabilità definite dal gradiente di aderenza alla polarizzazione.
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