Testo di: Linda Zennaro
Illustrazione di: Elisa Terranera
Stavo leggendo Pesca alla Trota in America di Richard Brautigan e mi è venuto da chiedermi se un giorno anche io parlerò di amici nel modo in cui tu parli di amiche quando scopi con qualche ragazza che però non è la tua ragazza perché non ti va di baciarla quando ci scopi. Forse non lo farò perché a me piace baciare i ragazzi e le ragazze anche quando non ci scopo, figurati quando ci scopo. Chissà se io sono mai stata la tua amica in quel senso per qualche altro amico al quale hai parlato di me. Non credo. Per fortuna. Ma forse ho iniziato a pensare al modo in cui definisci amica una ragazza con cui scopi e con cui vai insieme da qualche parte, per scopare insieme da qualche parte nuova, solo dopo aver pensato a quando vicino casa di Arianna scendendo verso il benzinaio lungo il perimetro del giardino dove un vecchio ha offerto ad Arianna dei soldi su una panchina – anche se non sono sicurissima che fosse quello il giardino, ma è probabile che invece sia proprio quel giardino – quella volta mi hai chiamata dolcezza, anzi, Dolcezza; e allora, prima o dopo la mia curiosità sul tuo uso della parola amica mi sono chiesta – e me lo sono chiesta tante volte, ma mai in modo così approfondito – se il tuo vocativo per me, Dolcezza, alla fine di una frase che non ricordo, fosse un vocativo che hai usato pensando a me o se è un tuo modo di chiamare le ragazze alle quali vuoi bene a prescindere dal fatto che ci scopi o non ci scopi. Mentre il vocativo mi rimbalza nella testa, negli occhi c’è il tuo profilo destro che guida e il sole in discesa e alla mia di destra c’è il finestrino e poi quel giardino dove il vecchio sulla panchina ha offerto ad Arianna dei soldi e magari a tante altre ragazzine e chi sa se qualcuna di loro abbia mai accettato quei soldi e sia andata a casa del vecchio, ma questa è una cosa che si chiede Arianna quando le capita di pensare al suo episodio sulla panchina. Mi piacerebbe aver assistito da legno o da chiodo della panchina alla discrezione e alla calma e alla diplomazia e dolcezza con la quale Arianna – e probabilmente anche alla freddezza (perché una cosa può essere fredda e dolce insieme) – deve aver gentilmente risposto al vecchio che le ha offerto dei soldi. Avrei sentito tutto da sotto i loro culi.
Credo che il tuo per me Dolcezza fosse un vocativo pensato come si pensa un regalo per una persona alla quale vuoi bene. Mi piace pensare che tu mi abbia chiamata Dolcezza perché pensi che sono dolce e che quindi Dolcezza potrebbe essere il nome azzeccato col quale chiamarmi. Non mi piace pensare che tu lo abbia usato nello stesso modo in cui mi hai detto che avresti dormito nel mio letto con una tua amica, per poi sapere con un certo ingiusto sollievo che quando scopi con lei non la baci e questa è una cosa che non mi sarei aspettata perché credevo che tu potessi avere voglia di baciarla magari anche quando non ci scopi. Una cosa che non mi piace pensare ma che so con bastante sicurezza è che tu non ti ricordi di avermi chiamata Dolcezza e che se non te lo ricordi allora forse quella D diventa una d, ma in realtà non è così perché tu ti ricordi in generale pochissime cose di noi due (o così mi fai pensare o vuoi farmi pensare?) e so che non è per cattiveria ma perché il tuo cervello non si ricorda tanto bene le cose che dici o forse è che noi, cioè tu ed io, diamo un peso diverso alle cose perché il peso che io ho nella tua vita è minimo rispetto a quello che tu hai nella mia. Per esempio mi piacerebbe che ti ricordassi il giorno del mio compleanno e basterebbe veramente uno sforzo minimo per ricordarti il giorno del mio compleanno dato che è tre giorni prima del tuo. O mi consolerebbe se mi regalassi un casio da polso perché quella volta che il tuo computer era in sala operatoria sui colli del nostro amico – noi eravamo in piscina e in Indonesia c’era il terremoto – io sono entrata gocciolante nella stanza dei materassi e tu mi sei venuto dietro perché ero preoccupata per il terremoto in Indonesia e mi hai detto che il casio sarebbe potuto essere il mio regalo di compleanno, se solo ti fossi ricordato quando è il mio compleanno. Dovresti saperlo. Intanto il processo di guarigione del tuo computer stava lentamente portando alla luce pezzetti di speranza che senza dubbio erano la metafora della nostra storia d’amore di cui io ho sempre parlato con le parole e che tu hai sempre negato con le parole e con le metafore. Dicono che i poeti dicano bugie ogni volta che parlano, ma io non voglio crederci e quindi non ci credo, perché a me non piacerebbe dire sempre bugie però mi piacerebbe essere una poeta. Comunque il tuo modo di usare la parola amica è New Age almeno quanto il mio bellissimo secondo nome, che non lo è, ma potrebbe benissimo essere Dolcezza.
Ho finito di leggere Pesca alla Trota in America di Richard Brautigan. Sono in treno vicino Firenze che è una città in cui non vado da otto-nove anni. Si trova lungo l’itinerario Roma-Venezia che faccio molto spesso, anche se non mi sono mai fermata a Firenze e in questo momento mi sembra un peccato. Il motivo per cui non mi sono mai fermata a Firenze potrebbe essere che sono su un treno Roma-Venezia, ma in realtà non lo è. Piuttosto un motivo potrebbe essere che quando prendo il treno per andare a Venezia da Roma di solito devo arrivare a Venezia entro breve tempo, altrimenti magari mi sarei dedicata a Roma ancora per un po'. Se scendessi a Firenze dovrei prendere un altro treno per poi arrivare a Venezia, ma mi sembrerebbe uno spreco di sodi. Forse è a questo che serve essere ricchi, a poter scendere dal treno a Firenze quando avevi programmato di arrivare Venezia. Oppure si può fare come mio fratello Andrea che non paga il treno e va dove gli pare perché dice che è giusto che ci si possa muovere liberamente anche senza soldi. Comunque forse il punto è che non ho mai pensato a quanto mi piacerebbe tornare a Firenze e quindi non sono mai scesa a Firenze né ho mai pensato che potrebbe valere la pena prendere un treno che vada a Firenze, proprio a Firenze, dato che non ci vado da otto-nove anni. Nelle campagne qui vicino abita mio fratello Zen, che non è mio fratello come Andrea ma in un modo diverso. Abita con non so chi e Wanda e la figlia o il figlio di Wanda che sono cani.
Sul sedile accanto a me c’è un mucchio o “nodo o groviglio o garbuglio o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo”, di: giacca, sciarpa, caricatore del computer, custodia del computer, caricatore del telefono, telefono, moschettone, borraccia, fazzoletto e dentro il fazzoletto sono rimasti spicchi di un’arancia non molto saporita e piuttosto aspra che ieri ho preso dal cassetto del frigo dei miei. Ne ho mangiati i tre quarti o di più e poi l’ho avvolta in un fazzoletto e buttata nel mucchio che mi fa compagnia. Mi sono presa il posto al finestrino (che mi spetta di diritto perché è il numero del mio biglietto) e ho lasciato il corridoio al mucchio che non ha nessun biglietto e che è arrivato dopo di me. Oltre il mucchio c’è quindi il corridoio e poi un altro mucchio più piccolo che credo sia fatto di borsa e giacca. Ha un spettro color grigioverde, mentre il mio è color grigioblu. Oltre il mucchio grigioverde c’è un signore incrociato con la Campania con il quale direi che c’è una simpatia reciproca. Se sale qualcuno a Firenze devo far fuori il mucchio e un po’ mi dispiacerebbe.
Sono contenta di aver avvolto l’arancia nel fazzoletto. Non avevo più voglia di mangiarla e sarebbe stato ingiusto mangiarla senza voglia. Povera arancia sbucciata senza voglia. La sua nuova buccia è un fazzoletto di carta come quelli in cui avvolgevi le tue colazioni in macchina nel tragitto da casa alla falegnameria. Quando non ti andava più un pezzo di colazione l’avvolgevi in un fazzoletto che incastravi in qualche buco del cruscotto insieme agli involucri delle colazioni finite andando in falegnameria o delle merende uscendo dalla falegnameria o nel traffico di Roma in un tragitto senza falegnameria. Mi piace quando avvolgi le cose nei fazzoletti. Poi te le metti in tasca o in una busta di plastica e ti fai un bel mucchio anche tu, che ti porti in giro nel traffico di Roma quando il sedile del passeggero è vuoto. Vorrei essere quel gomitolo più spesso.
Tra poco finisco l’arancia. Il mio mucchio è salvo con 38 minuti di ritardo. Il telefono si è ribellato al mucchio con un tonfo per terra. Vado a pisciare.
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