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Racconti | Doris in Writerland


 

Testo di: Simone Sciamè

Illustrazione: Simona Rosati

Editing a cura di: Pietro Emiliani


 


«Si può sapere questo chi è?»

Questo, come lo chiamava Doris Carraresi - la Fabio Fazio di PrimoCanale Lombardia, la Francesca Fagnani delle reti minori, la prima ministra della più importante emittente padana dopo la Mediaset, la RAI, e tutte le altre, dal decimo al sessantasettesimo canale del digitale - non era altro che Stefano Barberini, scrittore di Pavia, autore esordiente. Aveva da poco pubblicato un romanzo, anche se esordiente vero non era, dato che aveva all’attivo ben tre raccolte di racconti e un saggio.

«Barberini» aveva ripetuto per la terza volta l’assistente di Carraresi, mentre la rincorreva per lo studio «e sta per arrivare!».

L’assistente si stava sudando la giornata, se la stava sudando eccome, a correrle dietro in cambio dei miseri seicento euro per undici ore di lavoro, dentro e fuori lo studio televisivo. Le aveva ricordato non solo l’arrivo di Barberini, ma anche quello del produttore e dell’amministratore delegato della rete. Ma Doris Carraresi non è di certo diventata popolare per il suo essere accomodante e diplomatica. Difatti Mafaldi, l’amministratore delegato, l’aveva assunta proprio per la sua pellaccia, per aver sfanculato quelli che, ai provini e ai colloqui, allungavano le mani e dicevano che per fare carriera ci voleva una gran botta di culo. E quindi avrebbe potuto anticipare i tempi dandolo via.

«Io oggi dovevo intervistare Caniggia. Quello era un prete e si è dato al porno. Lo sai quanto avrei fatto di share, eh? Ora che me ne faccio di uno scrittore?»

L’assistente, che corrispondeva al nome di Gerardino, ormai aveva la polo sudata, la cartella con la scaletta sudata anch’essa, gli auricolari che cadevano sulla nuca un passo sì e l’altro pure. Doris sbuffava e pestava i piedi, pestava i piedi e sbuffava, e ogni movimento echeggiava nella mente dei macchinisti, del regista, dei fonici, del suggeritore, con la tonitruante promessa che quel giorno, proprio quel giorno cari telespettatori, sarebbe stata una giornata di merda.

«Sono arrivati Mafaldi e il produttore» annunciò Gerardino con la lingua che puliva il pavimento.

Ora Doris si trovava di fronte quei pezzi di fango del produttore e dell’amministratore delegato, e dio solo sa quanto non gliene fregava una fava di mancare loro di rispetto, visto che l’avevano infinocchiata per bene.

«Eccoli qua, i geni del palinsesto. Cos’è questa storia?»

Mafaldi e il produttore, nella persona di Olmo Demirani, sembravano quasi l’uno la matrioska dell’altro. Se solo Mafaldi avesse scelto di aprire la bocca e inghiottire Olmo, questo sarebbe potuto succedere senza nemmeno un goccio di grappa o un rutto di gradimento. Ma le voci erano cosa ben diversa, oh sì, e persino i loro temperamenti. Nell’angolo destro del ring di questa iniziale rottura di coglioni preferì alzare per primo i guantoni proprio Mafaldi, il quale abbassò subito la guardia, provando a spiegare l’accaduto con la pacatezza di un monaco tibetano.

«Doris cara…»

«Cara un cazzo»

Non era partito proprio bene. Errore da principiante dare della “cara” a una professionista con i cinque minuti.

«Guarda che Caniggia te lo portiamo, stai tranquilla»

«Tranquilla un cazzo».

E due.

«Viene fra due mesi, ma viene»

«Come sarebbe “fra due mesi”? Fra due mesi me lo fottono, non fa più notizia».

A quel punto Mafaldi aveva già esaurito le cartucce e aveva puntato l’uscita di emergenza. Lasciò il posto a Olmo pregandolo:

«Dille qualcosa tu».

Olmo Demirani si fece avanti e alzò la testa. Solo così avrebbe potuto sperare di intercettare lo sguardo della conduttrice.

«Senti ‘a Cosa, l’editore è n’amico mio carissimo. Giocavamo insieme a burraco ai tempi dell’università, non je posso di’ di no. Lo capisci?»

«E chi sarebbe l’editore?» chiese lei con un sopracciglio in diagonale.

«Calvarini»

«E chi lo conosce»

«Ma come chi lo conosce. Quello ha fatto esordi’ nientepopodimenoche Tiberio Livella, che ha vinto lo Strega, scrive per il cinema. Gira voce che vada pure da Fazio. Mica pizza e fichi, signori’»

«Non mi interessa. Cosa dovrei chiedergli? Io il suo libro non l’ho letto. Non conosco nemmeno il titolo!»

«Faje le solite domande, com’è nato il libro, com’è nata la passione per la scrittura…

«Quelle sono domande da shampista.

«Scusate…» aveva provato a dire un tipetto in tweed e pantaloni a coste, con un indice alzato, come per tentare di inserirsi. La sua voce somigliava più a uno squittio. Troppo timido. Solo Gerardino si era voltato per restituirgli una smorfia di imbarazzo, di costernazione.

«Doris, damme retta, ma che shampista, le domande di circostanza sono le migliori. Fai dire tutto a lui, così con la scusa di “dare spazio all’autore” tu fai pure la figura di quella brava, capi’, che si prodiga pe’ ‘sti scappati de casa. Tu je fai ‘e domande e lo lasci parla’: parla e parla, quindici minuti e andiamo a casa. Ennamo».

Ma Doris Carraresi era una professionista tutta d’un pezzo. Una giornalista con la testa più dura di un carapace, determinata e spedita contro qualsiasi forma di ipocrisia. Lavorare in una rete minore non doveva essere una giustificazione per una prestazione disonesta, ne valeva della sua reputazione. Aveva impiegato anni per costruire la sua credibilità. E solo le donne potevano capire quanto fosse difficile, in quanto donna, affermarsi nel suo ambiente senza dover cedere a compromessi. Se doveva intervistare uno scrittore, forse era buona cosa aver letto prima il libro. Non c’erano questioni. 

«Olmo, mi dispiace ma la faccia non ce la metti tu, o sbaglio? Quando intervisto qualcuno, è come se gli mettessi il mio bollino, come se dessi una garanzia di qualità a chi ci guarda da casa. Non posso promuovere un libro che non ho mai letto»

«Certo che puoi, lo fanno tutti»

«Io no»

«Ma guarda che questo è bravo, eh. Calvarini mica pubblica stronzate. Ha pubblicato Livella!»

«A parte che io Calvarini non lo conosco. E poi, con tutta la buona volontà, questo autore può essere pure bravo, ma io non l’ho mai letto, ripeto»

«Scusate…» questa volta era stato Gerardino a provare a inserirsi. Gli tremava la voce.

«A regazzi’, gli adulti stanno parlando».

Ma Gerardino doveva impedire che la figuraccia diventasse una colossale figura di merda. Doveva immolarsi. Doveva diventare il martire che non era mai stato. La sua missione era quella di imporsi, di interrompere la conversazione, spostare il focus. Forse avrebbe fatto incazzare tutti, persino Mafaldi. Ma doveva tentare.

«Scusa, Doris…»

«Che c’è?!»

«Credo sia arrivato Barberini».

Esistono delle scene nei film in cui il sonoro viene interamente assorbito, gli attori si pietrificano e le comparse rimangono immobili sullo sfondo. Se un personaggio sta versando l’acqua in un bicchiere, il suo sguardo e la sua attenzione si spostano da un’altra parte, verso un altro oggetto, e l’acqua continua a scorrere fino a strabordare, a bagnare il tavolo, ad allagare il pavimento. Ecco, quello era l’istante perfetto in cui l’intero studio televisivo si era fermato: gli elettricisti in cima alle scale, i macchinisti con l’occhio fuori dall’obiettivo, il regista lontano dallo schermo, il produttore con il dito accusatore rivolto verso Doris. Dito che si era trasformato d’un tratto in una mano aperta. Grugno che era diventato sorriso di accoglienza da villaggio turistico.

«We, grandissimo. Abbiamo letto il tuo libro. Ca-po-la-vo-ro!»

 




 Dopo lo shock iniziale in cui si cerca di rimediare all’irrimediabile mettendo in atto una complessa tanatosi di gruppo, Barberini aveva avuto l’impressione, ma solo l’impressione, di essere vagamente preso per il culo.

«Se sono ospite sgradito, forse è meglio che me ne vada» aveva detto grattandosi la nuca. Non era la prima volta che Barberini subiva una sceneggiata simile. Anche prima della presentazione del romanzo al Salone del libro, il suo stesso editore non lo aveva riconosciuto. Stava persino per chiamare la sicurezza per prenderlo di peso e trascinarlo via.

«Ma che sgradito, macché, venga Barberini, venga»

«La conduttrice non ha nemmeno letto Santi e mignotte».

«Ah, questo è il titolo?» chiese Doris a Mafaldi, il quale avrebbe voluto incarnarsi nelle fattezze di Demirani solo per sparire dai radar senza destare sospetti.

«Ma certo che lo ha letto! Scherzava, sa’, è una che je piace di’ fregnacce» sminuì mettendosi sulle punte per prenderlo sottobraccio. Da quella visuale sembrava che Barberini stesse badando a suo figlio.

«No, scusi eh, ma ora devo chiamare il mio editore. Questa situazione è a dir poco… deprimente».

Ma non tutti gli eroi portano delle cuffiette. Non esistono solo i Gerardini. Anche Mafaldi doveva decidersi a tornare sul ring, a dimostrare di essersi guadagnato il posto di amministratore delegato. E che diamine. Ma l’avrebbe fatto a modo suo. Così si avvicinò cauto a Doris, la quale era intenta a farsi tamponare le gote con un dischetto di cotone. L’aveva affiancata e le aveva detto, quasi come fosse un segreto:

«Guarda, se fai questa intervista magari… possiamo pensare a un extra» e aveva aggiunto una strizzata d’occhio da vero top player della corruzione.

In una infinita frazione di secondo, il petto di Doris Carraresi si era gonfiato sotto il tailleur. Se c’era stato un inizio di carriera, per Mafaldi, forse ora sarebbe giunta una fine.

«Ma allora non sono stata chiara» aveva urlato per tutto lo studio, «io NON LO FACCIO. Siete proprio duri di comprendonio. Non lo capite che qui manca una serietà, un rispetto nei confronti del lavoro delle persone, della cultura, dell’integrità? Mi spiegate con che faccia io dovrei fare questa cosa? Se volete lo show, prendetevi Barbara d’Urso, Maria, la Toffanin, non Doris Carraresi, lo capite? Pensate che la RAI, La 7, rompano le palle a Corrado Augias? Non credo proprio! Non siamo qui per riempire un palinsesto, per tenere compagnia alle casalinghe di Voghera. Siamo qui per fare cultura, idioti. Senta…» e ora si rivolgeva proprio a Barberini, «lei magari sarà un bravo autore, ma qui nessuno mi ha informato della sua presenza e quindi non ho potuto leggere il suo libro. Lei scrive per fare i soldi, per caso? No, perché se vuole fare i soldi basta dirlo».

Barberini sapeva che la tivù partorisse dei megalomani-sociopatici-egomaniaci, ma mai avrebbe immaginato una simile filippica neoretorica. Era abbattuto. Gli era crollata addosso una carriola di vergogna e senso di impotenza.

«Veramente... io vorrei andarmene».

E iniziò a incamminarsi così, mormorando qualche timido improperio a testa bassa, strisciando i piedi.

«Ecco, appunto. Visto? Me ne vado anch’io» esclamò battendo i tacchi.

«Ma, Doris, ti prego, non fare così» aveva tentato Mafaldi.

Poi Olmo, dopo aver mandato con eleganza Doris a farsi fottere da un cammello, aveva schioccato le dita verso Gerardino.

«A regazzi’, daje. Vai tu in onda. Fai l’intervista a Barberini»

«Ma…»

«Trucco»

«Ma Barberini se n’è andato» disse Mafaldi.

«Trucco anche per me. Lo faccio io Barberini. Tanto chi cazzo l’ha mai visto.»

 

 

 


Nota biografica


Simone Sciamè è nato ad Alessandria il 4 settembre 1993.Diplomato con indirizzo Dirigente di Comunità, ha collaborato a un progetto nell’ambito dello storytelling e tecniche di comunicazione giornalistica presso il liceo psico-pedagogico della sua città. Ha curato una rubrica di recensioni di libri presso la testata radio-giornalistica Radio Gold.Ha pubblicato le raccolte di racconti: Erotica liquida (Edizioni Effetto, 2023) e Sentirsi al singolare (Another Coffee Stories, 2023). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su riviste letterarie come Topsy Kretts, per la quale è editor e scout, e Poetarum Silva.

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