Testo di Simona Visciglia
Illustrazione di Gabriele Merlino
Editing di Maria Sole Cusumano
Torniamo, se è possibile / a com’eravamo prima / di andarcene lontano.
Mirko tira un calcio alla lattina, accompagnandola con un’imprecazione che non sento.
È qualche metro davanti a me, sul pezzo di strada sterrata che facciamo tutti i giorni per tagliare da scuola a casa.
Si gira a guardarmi, le mani in tasca: «Hai ancora un po’ di erba?»
Tiro fuori dallo zaino una bustina, gliela sventolo davanti e gli faccio: «Se ti calmi un attimo, te la do».
Ci conosciamo da quando eravamo piccoli, abitiamo praticamente attaccati, nello stesso condominio.
Siamo abbastanza sconvolti tutti e due ed è per quello che andiamo d’accordo.
Più che altro abbiamo le famiglie incasinate e non abbiamo tantissimi amici. Anzi, non ne abbiamo proprio di amici.
Mio padre è un pezzo di merda e mia madre è sparita quando ha realizzato che con un uomo del genere non poteva essere felice. Chissenefrega se m’ha lasciato a casa a marcire con lui, cioè, a lei non gliene deve essere fregato niente, tant’è che mi ritrovo con questo psicopatico tra le scatole. Ma almeno mi dà da mangiare e non mi lamento.
A Mirko non è che vada meglio, vabbè, i genitori ce li ha entrambi, ma non fanno che litigare, li sentiamo urlare ogni giorno, davvero, i vicini oramai lo sanno e non ci fanno più caso, ma tipo che sembra che si sgozzino a vicenda. Ah, ma sono sempre là, mica si lasciano, no. Come se ci prendessero gusto a dirsene su, anche di notte.
Alla fine non è tutta ‘sta tragedia, nel senso che a casa ci stiamo poco, io e Mirko.
Frequentiamo la stessa classe in una scuola di sfigati, figli di papà con la puzza sotto il naso e fighettine che non capiscono un cazzo, buone solo a farsi i selfie con le bocche a culo di gallina e i primissimi piani sulle tette.
Noi siamo diversi, e ce lo fanno notare, ma meglio strambi che in posa per Instagram.
Ci fermiamo a fumare una mezza canna poco prima di arrivare a casa. Mi serve coraggio per affrontare mio padre e a lui quei due disperati dei suoi genitori.
«Lo sai che m’hanno, anzi, ci hanno invitati alla festa di Natale? Per quella storia dell’inclusione, dell’assemblea della settimana scorsa, nessuno deve restare indietro, nessuno escluso. Hai presente, no? La Bertacci-bertuccia con la casa splendida, il cane splendido, la figa splendida mi fa: “Allora, Simo, vieni anche tu. Facciamo come l’anno scorso… Ah, l’anno scorso non c’eri, che strano… Ma insomma, ognuno porta un regalo, un pensierino, eh! In realtà ci saremmo già organizzati che abbiamo fatto gli abbinamenti: cioè in pratica ognuno sa a chi deve fare il regalo, così tutti avranno qualcosa e tutti ne dovranno fare solo uno. Hai presente, no? E sareste rimasti giusto tu e… Mirko. A lui glielo dici tu, giusto? Mica vi secca se ve lo scambiate tra di voi, il regalino? Alla fine è pure meglio, no? Vedrai che divertimento… Ci divertiamo sempre un casino. Ci siamo tutti, non potete mancare”. Ci andiamo? Dai, ci scompisceremo dalle risate, eh, Mirko?»
Mirko tira su il moccio, insieme a una boccata di fumo, poi mi inonda la faccia con uno sbuffo denso e caldo, che è la sua migliore risposta.
«Sei seria, Simo? A casa di quella troia sottosviluppata?»
Mi passa un moncone di canna, che quasi mi scotto le labbra a tirar su.
«Che palle, Mirko, è per fare qualcosa di diverso, andiamo a percularli a casa loro… Che ne so, tipo puoi dare fuoco alle tende o riempire di cicche i vasi Ming».
Ridiamo come due cretini, ma meno male che esistiamo, noi due, che siamo amici.
«Sì, vabbè! Senti Simo, dopo ti mando il pezzo nuovo che ho scritto, così magari inizi a pensare alla musica, ok?»
Ci salutiamo così, davanti casa, l’odore di soffritto della signora Maria del primo piano, le porte che ci si chiudono alle spalle e i nostri pomeriggi a sopravvivere come animali in gabbia.
Messaggio da Mirko:
Eccola, la canzone, cioè l’inizio, magari devo sistemarla un po’, dai, vedi tu:
Resto qui, in attesa di noi / Dimmi che ci sei,
che stai pensando anche tu / che lo vuoi, che mi vuoi.
Resto qui, in assenza di noi / nel ricordo di noi
Dammi un attimo / Metto in ordine la stanza
C’è ancora il tuo odore / Che fa male, fa male
Torniamo, se è possibile,
A com’eravamo prima / Di andarcene lontano.
Risposta:
Ho un’idea grandiosa, fratellino!
Messaggio da Mirko:
Ma già? Cioè mi dai già la musica?
Risposta:
Ahahaha, sei scemo! Che musica?! Ma no, un’idea per la festa di Natale
stavolta ci divertiamo noi. Ti spiego domani.
Notte
Cerco Mirko che alla prima ora non si è fatto vivo e ha fatto strabenissimo, quell’esaltato di matematica oggi ha fatto una strage. Vado sul retro della scuola, perché di solito mi aspetta lì. Ci imbuchiamo anche le vodka al melone, nel cespuglio sotto la rete del campetto. Se lo becco a bere da solo, stavolta gliela faccio vomitare la bottiglia.
«Ohi, Mirko, ero certa di trovarti qui. Seconda ora buca, la Bonifaci c’ha di nuovo il Covid, per la decima volta » rido e lo squadro per bene, per capire quante canne si è già fatto o se si è ingurgitato pure la vodka.
«L’idea che hai avuto, Simo?» mi fa senza perdere tempo.
«Poi dicono che le donne sono curiose… Senti, pensavo…», prima di procedere mi guardo intorno, non vorrei che ci fossero delle spie in giro, tipo quei rompiballe della terza C, campioni di seghe in solitaria.
Mirko mi fissa negli occhi, i suoi sono arrossati, come sempre. Sono anni che spaccio colliri per lui.
«Pensavo di fare una bella festa a casa della Bertuccia, cioè gliela facciamo noi, la festa. Mio padre a casa c’ha una pistola, lo sai che non è mai stato un tipo a posto».
Mirko non mi sembra sorpreso, sarà che è già anestetizzato dalle schifezze che si fuma da solo a colazione.
Gli spiego il mio piano infallibile. Sarà un gioco da ragazzi fare sparire la Beretta di mio padre, tanto lui non è che se la porta in giro quando c’ha le sue cose da sbrigare. La tiene lì per sicurezza, dice. Ha sempre avuto giri strani, ma meglio così, adesso ci torna utile ‘sta cosa.
«Te la incarto. Ti faccio una bella confezione regalo. Al momento dello scambio, apri e bam! Fanculo la Bertuccia[1] e tutti gli altri, no? Che te ne pare?»
Mirko strabuzza gli occhi solo al mio bam, ma lo vedo che la cosa gli piace.
«Simo, ma poi?»
E forse al poi non ci ho pensato tanto.
«Mirko, e poi improvvisiamo… Chi se ne frega, tanto peggio di così si muore».
Primo passo: sottrarre l’arma a mio padre, farne un bel pacchetto e farla sparire da casa mia, perché quel figlio di puttana ficca il naso ovunque. L’ho beccato che mi rovistava nel cassetto del comodino, pensando di trovare chissà cosa. Che tipo mio padre! Lui mezzo delinquente e io, per lui, dovrei essere una santarellina. Mi ha fatto una scenata per una caccola di hashish. E me le ha date, fanculo se me le ha date.
A casa di Mirko almeno lui la sfanga sempre, con quei due cretini dei suoi che gli frega solo di fare le scenate tra di loro. Pare che le cose vadano anche peggio ultimamente. Che forse il papà di Mirko s’è trovata una, voci che girano. Mirko di ‘ste cose non è che parli tanto. Lui scrive le sue canzoni e a me da lì mi tocca capire che gli passa per la testa.
Ho calcolato ogni cosa.
Pacchetto - pacchetto a casa di Mirko - grande festa col pacchetto dalla scimmia in gonnella.
Il pomeriggio della festa di Natale Mirko suona al citofono, mi urla di sbrigarmi, di non farlo aspettare.
Ha lo zaino con dentro la nostra sorpresa. Ci avviamo a piedi, la casa della Bertacci è a un chilometro scarso dalla nostra. Fumiamo una sigaretta, che ci siamo detti di restare lucidi. A me sembra che Mirko però non abbia mantenuto la promessa, gli sento addosso l’odore di erba – cioè, lui fuma a casa sua, tanto i suoi lo ignorano totalmente, che culo! E si ingoia anche le pillole della madre, cose coi nomi tipo Zoloft, Azur, che sembrano personaggi di una saga nordica, Il trono di Prozac.
Se non mi combina casini stasera… Ma magari il pacchetto lo apro io:
«Guarda che se non te la senti, lo faccio io. Cioè, ti ho dato il regalino solo perché a casa mia non potevo tenerlo. Me lo diresti, no? Se non te la sentissi…», Mirko mi guarda, occhi liquidi, mi fa cenno di stare serena.
A casa della Bertacci mancavamo solo noi. Sono tutti lì, profumati di Eau de Bastard, con le scarpe da trecento euro ai piedi, mica come noi che le prendiamo su Vinted. Vestitini firmati, non un capello fuori posto, i mascara azzurri, i bracciali Sagapò, e ditelo in italiano: “ti amo, portafoglio di papà”.
Ho bisogno di bere, va bene anche la birra, qui di meglio non si trova.
«Lo sai che i miei stasera forse uscivano insieme? Che si sono fatti i regali pure loro. Magari, chi lo sa, a Natale siamo tutti più buoni e non litigano, per un po’, eh?»
Temo che Mirko non se la senta più, parlarmi dei suoi adesso, che non lo ha fatto mai.
Sogniamo una vita diversa, ma la realtà è questa. Non si torna indietro.
«Mirko, che c’hai?» gli faccio, per scuoterlo, «Toh, annega i tuoi dispiaceri in questa fantastica birretta a temperatura ambiente aka piscio di gatto».
Mirko tracanna peggio di me. Gli spettino i capelli, passandogli la mano sulla testa.
Gli altri ci ignorano, l’inclusione è più un concetto astratto per questi deficienti pseudocomunistifascisti del cazzo.
Finalmente arriva il momento dello scambio dei doni. Arriva il nostro momento. Prima o poi i conti si pagano e a noi tutta ‘sta gente c’ha rotto di molto.
Magari io e Mirko poi ce ne scappiamo. Magari anche no, chi se ne frega.
Tra non molto tocca a Mirko, la Bertuccia ha deciso che si procede in senso antiorario, e siamo tutti seduti intorno al tavolino barocco-rococò-chicchirichì. Gli trema già la mano, lo vedo: fratellino, non mi deludere. Sarà un attimo. Sarà il nostro momento. Sarà la festa che ci meritiamo da anni.
Sarà che io a Mirko gli voglio bene.
«Mirko, sta a te! Chi ti avrà fatto il regalo, eh? Vediamo, vediamo» squittisce la migliore amica della Bertuccia, senza nome… Come cazzo si chiama? Due anni con lei e non so manco se ce l’ha un nome, la sento chiamare sempre Amò.
Mirko, sono con te. Noi due insieme siamo invincibili.
Non faccio in tempo a porgergli il “nostro” regalo che veniamo interrotti dalla Bertacci che miagola: «Fermi tutti, un attimo, stanno suonando al campanello, fermi fermi che voglio vedere anche io il regalo per Mirko».
E poi: «Uh, raga, è la polizia. Giuro. Stanno salendo!», si rivolge a noi con gli occhi spiritati.
In un attimo sono sopraffatta dal panico. Ci hanno scoperti. Mio padre se n’è accorto. Vengono qui e ci portano via. Non ci credo. Non può essere. Ma che cazzo, è impossibile.
La Bertuccia è sulla porta, la vediamo parlottare con gli agenti. Entrano, schierati come un esercito sul piede di guerra.
«Mirko Agresti? Venga, ci segua. E anche la… la De Caro».
Mirko sbianca, si alza, mi guarda. Come diavolo hanno fatto, mi chiedo. Cosa non abbiamo calcolato? È assurdo, cazzo, è assurdo.
«Vengo con te, fratellino, non ti lascio. Nel bene e nel male, no?»
C’è una donna con loro che non mi sembra neanche una poliziotta, c’ha i vestiti normali. Mi mette una mano sulle spalle e mi bisbiglia: «Siete amici tu e Mirko? Avrà bisogno di te. Ho parlato con tuo padre. E la mia collega sta già spiegando a lui cosa è successo».
Mirko rimane immobile, la donna in divisa gli mette a posto i capelli, con un gesto affettuoso.
Lui è inerme, fermo, impalato. Qualcuno spegne finalmente quella musica da sfigati.
Silenzio. Ci guardano tutti.
«Mirko, oh!» gli faccio scuotendolo per un braccio.
Mirko si gira verso di me, i suoi occhi mi attraversano: «Ho fatto un casino coi regali. Il nostro, quello di mia madre, quello di mio padre. Stamattina mia madre mi ha messo in ordine la stanza, ha trovato il nostro regalo e me lo ha messo sotto l’albero e c’erano quegli altri. A me mi sembravano tutti uguali. E il nostro regalo è rimasto lì, Simo. A casa mia».
Si ferma, fa un respiro profondo: «Stasera mia madre ha sparato a mio padre. Mio padre è morto e buon Natale».
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