Ötzi: poesie da conservare è una rubrica di poesia curata da Luigi Cannillo. Ogni mese una proposta di lettura con un breve commento al testo. Il 19 settembre 1991 venne ritrovato in Val Senales (Trentino-Alto Adige) il corpo perfettamente conservato di un uomo risalente all'età del rame, ribattezzato poi Ötzi. Il clima all'interno del ghiacciaio in cui fu ritrovato permise una conservazione completa del suo corpo. Allo stesso modo, vogliamo intendere le poesie che proponiamo: corpi da conservare, al di là del fluire del tempo.
Numero due
Sincope | di Roberta Dapunt
Con la verità della carne. La poesia di Roberta Dapunt si impone per la schiettezza, per la direzione inequivocabile che assumono i versi, per la forza delle tematiche. È una poesia franca e transitiva che non cade mai nella leziosità del pensierino elementare o nel cerebrale programmatico di tanta poesia contingente. Fuori dalle convenzioni, è capace di affermare “io” senza sottostare alle disposizioni che sembrerebbero derivare dal dibattito sull’autobiografismo lirico, ma semplicemente porgendo la propria esperienza come fondamento - i luoghi, l’ambiente, la natura, gli elementi concreti del vivere come richiamo a un’etica radicata nel tempo. Oppure, per esempio nei due testi proposti qui di seguito, il corpo e la parola. Il primo come coesistenza tra materia e nominazione, carne e verbo:
“Ho consegnato ad ogni osso della mia struttura una lettera”
Fino a trovare la voce del proprio corpo, e in un successivo snodo, arrivare perfino a parlare alla propria lingua, non solo ascoltarla passivamente nei suoi richiami. C’è una saldatura dinamica tra le diverse entità in questione: Soggetto, Corpo e Parola. Come in Così parlò Zarathustra, là dove Nietzsche scrive: «“Io” dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, è il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice “io”, ma agisce da “io”». Nel caso di Dapunt potremmo aggiungere validamente: ...e scrive da “io”.
Il verso è l’elemento dinamico vettore di quella saldatura, ben più di una semplice scansione ritmica: si fionda in modo anticonvenzionale in direzione del successivo a capo o della foce del testo, alternando le misure, dilatandosi se l’andamento delle affermazioni lo richiede, senza perdere un effetto di spontaneità. Eppure nella poetica di Roberta Dapunt oltre alla immediatezza entrano in gioco il rispetto e la pazienza dell’attendere, dell’ascolto, lo sviluppo materico dei pensieri, il processo di forgiare la lingua. E il fatto di accettare/ospitare la perdita di coscienza improvvisa e temporanea alla fine di ogni ultimo verso: la sincope è lo smarrimento necessario perché avvenga lo scatto alla prosecuzione del testo, come una interruzione del respiro nel fluire del tempo. Nel ciclo notte/giorno, ripensare/assumere si generano le verità. E nei versi tali verità accendono ogni passaggio, ogni singola parola, con il valore di una necessità assoluta:
“Che nella notte, io le rumino, / ma nel giorno, io di loro mi alimento”
della carne e della lingua
in questa carne ho radicato gli anni, li ho educati.
In questo corpo la materia dei miei pensieri
e le parole e le domande.
Su questa pelle l’ambiente delle loro risposte,
fino a contrarla, le vocali e le consonanti.
Ho consegnato ad ogni osso della mia struttura una lettera
e da lì le parole, una ad una le ho nutrite e ho appreso,
mentre crescevo la carne si faceva verbo.
Composte membra, ordinate si sono gonfiate,
dilatate le loro cavità e da lì io ho ascoltato,
ed era voce del mio corpo. Che mi chiamava
e io sorda alle sue espressioni finché
ho appoggiato le labbra alla loro imboccatura,
organica relazione, ho forgiato la lingua
ed essa ha compreso il gusto
e così finalmente io le ho parlato
sincope I
Lì in fondo ad ogni ultimo verso
improvvisa è la perdita di coscienza.
Lettore, io emetto suoni su tempi deboli,
che siano essi di giorni riposti o demenza,
così l’alcol, così l’amore e la morte.
Sono queste le mie verità,
lasciano le visioni accese persino al gelo notturno.
Che nella notte, io le rumino,
ma nel giorno, io di loro mi alimento
da Sincope, Einaudi, 2018
Roberta Dapunt è nata nel 1970 in Val Badia, dove vive. Ha pubblicato tre raccolte di poesie presso Einaudi: La terra più del paradiso (2008), Le beatitudini della malattia (2013) e Sincope (2018. Presso Folio Verlag ha pubblicato la raccolta Nauz in ladino con traduzione in tedesco (2012), successivamente ripubblicata con traduzione in italiano (Il Ponte del Sale, 2017)
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