Io vorrei che le mie fotografie
potessero ricondensare l’esperienza
in piccole immagini complete nelle quali
tutto il mistero della paura
o comunque ciò che rimane latente
agli occhi dello spettatore uscisse,
come se derivasse dalla sua propria esperienza
Francesca Woodman
Se c’è un elemento che manca all’arte è il limite, un confine rigido e impermeabile che isola e divide. L’arte è aperta, i suoi confini sono penetrabili e consentono di assistere a interessanti osmosi di forme espressive eterogenee. Da sempre il dialogo fra le arti è stato una costante nel mondo della cultura e per questo è sovente oggetto di attenzioni da parte di studiosi e ricercatori.
Un esempio recente di incontro fra linguaggi artistici differenti è dato dal documentario The Woodmans, diretto e prodotto da Scott Willis e presentato alla V edizione del Festival del Cinema di Roma nel 2010, nella categoria “L’alto cinema| Extra”. Il lavoro di Willis, premiato come miglior documentario al Tribeca Film Festival, è incentrato sulla figura di Francesca Woodman, la celebre fotografa americana morta suicida nel 1981 a soli 22 anni.
Testimoniare Francesca
Il terreno in cui nasce e cresce Francesca Woodman è culturalmente molto fertile. Quella dei Woodman, infatti, è una famiglia di artisti: il padre George è fotografo e pittore, la madre Betty è ceramista e il fratello Charlie è videoartista. Ed è grazie a questo ambiente culturalmente così stimolante che Francesca si avvicina al mondo della fotografia ad appena 13 anni, nel 1971. Nel periodo compreso fra il 1975 e il 1979 Francesca frequenta la Rhode Island School Design e vede in personaggi come Man Ray, Duane Michals e Arthur Fellig Weegee dei modelli di riferimento artistici. Entra, poi, in contatto con Enrico Luzzi, Edith Schloss, Suzanne Santoro e, per qualche tempo, si sente vicina al movimento artistico della Transavanguardia italiana.
All’interno della pellicola di Willis, la storia dei Woodman, raccontata fin dalla giovinezza dei genitori, aiuta ad inquadrare meglio il contesto familiare nel quale si origina e si sviluppa l’arte e la personalità della fotografa. Manca, invece, nella diegesi filmica un approfondimento dettagliato sul contesto storico, culturale e artistico entro cui si muove Francesca. Al termine degli anni Settanta si riscontra una predominanza dell’Arte Concettuale e della Body Art e gli artisti aderenti a questi movimenti così come quelli dediti alla performance e al femminismo, concepirono il potenziale documentaristico della fotografia come elemento di investigazione dei fondamenti della rappresentazione (Joseph Kosuth), come critica istituzionale (Martha Rosler, Louise Lawler), come strumento di riesame degli stereotipi femminili (Cindy Sherman, Laurie Simmons) o come traccia visiva di azioni temporali (Laurie Anderson, Vito Acconci).
Un ambiente, dunque, culturalmente molto ricco, variegato e foriero di stimoli, quello che fa da background alla vita e al lavoro di Francesca.
“Testimonianza” è una delle keywords che contrassegnano il film e, con molta probabilità, anche le intenzioni del regista, che nel corso di un’intervista ha dichiarato, dopo aver conosciuto di persona i Woodman ad una festa a New York, di ritenere molto interessante la storia della giovane fotografa e, dunque, che era degna di essere raccontata. Così, nel documentario la figura di Francesca viene tratteggiata attraverso testimonianze sia verbali sia fotografiche che hanno pari dignità. The Woodmans si presenta come «una sorta di album di memorie raccolte dai familiari e da chi le è stato vicino, come indica il titolo, in una polifonia di voci e immagini che accosta interviste, fotografie di famiglia, pagine di diario a filmati e immagini prodotti dalla stessa Francesca».
Possibilità interpretative e linee di studio
Per analizzare le scelte estetico-stilistiche di un cineasta rispetto ad un’opera cinematografica, nonché inquadrare al meglio la genesi delle sue intenzioni, si possono percorrere strade diverse. Si può, infatti, adottare una linea descrittiva, con una lettura filmica che riporta all’ekphrasis oppure una linea comparativa, in cui il punto di vista del regista prende forma o attraverso il confronto con altre sue opere o mediante l’accostamento allo sguardo di altri cineasti che hanno dato vita a pellicole riguardanti lo stesso soggetto. Nel caso specifico, per comprendere le modalità con cui Willis ci restituisce l’immagine di Francesca Woodman, si vogliono qui esplorare entrambe le strade. In una prima battuta si proporrà una lettura descrittiva del documentario; in seguito, si prenderanno in considerazione altre due opere che si concentrano anch’esse sulla figura della giovane fotografa. Si tratta del corto di Elisabeth Subrin The Fancy del 2000 e di quello di Chris Kraus del 2021, realizzato nell’ambito del progetto Francesca Woodman: Alternate Stories.
Ekphrasis: leggendo The Woodmans
Terreno di ricerca interessante da esplorare nella pellicola in esame è quello relativo alle modalità con cui il medium fotografico “entra” nei frames cinematografici e quindi, in altre parole, di come l’arte dell’immagine fissa prende spazio e forma all’interno dell’arte dell’immagine in movimento.
La pratica fotografica, essendo il mestiere nonché la passione di Francesca, ricopre un ruolo primario all’interno dell’opera filmica, sebbene le immagini fotografiche non mettano comunque mai in penombra le testimonianze verbali cui prima si faceva riferimento. In tal senso, lungo tutto il film, le fotografie di Woodman formano una sorta di commento muto, ma resistente, al dipanarsi del racconto. Ogni capitolo dell’esistenza dell’artista è raccontato dalle voci delle interviste e ribadito dalle immagini, che confermano quello che le parole dicono senza mai cercare un controcanto o contrappunto, ma al contrario sovrapponendosi pressoché alla perfezione con le parole, legando in un nodo stretto l’arte di Francesca alla sua biografia così come si desidera raccontarla.
Che siano di famiglia, delle mostre o quelle realizzate da Francesca, le fotografie presenti hanno la funzione di dare sostegno e credibilità alle parole degli intervistati. Nel film, il campo del fotografabile è praticamente ristretto alla figura di Francesca e ai Woodman.
Va, inoltre, segnalato il contrasto cromatico che si manifesta nella pellicola attraverso la contrapposizione delle foto in bianco e nero di Francesca e quelle dei genitori, in particolare del padre. Infatti, buona parte del corpus fotografico della giovane artista statunitense si caratterizza per l’utilizzo del bianco e nero, una scelta espressiva e stilistica che, in concorso con le pose e i paesaggi rappresentati, conferisce un alto livello di intensità e profondità. Francesca è dietro e davanti alla macchina fotografica e attraverso l’arte racconta sé stessa. Nelle sue fotografie
Woodman non espone il corpo nudo in quanto sovrastruttura culturale; piuttosto, lo utilizza sempre e solo in relazione al’ambiente naturale o architettonico circostante, che lo confonde – alberi, carta da parati, la deformazione derivante dall’immagine sfocata nel movimento – o come lei stessa dice, lo assorbe.
La personalità complessa della fotografa emerge nel documentario da alcuni scatti che mostrano la sua sensibilità e al contempo la sua potenza. Tra le immagini fotografiche che colpiscono maggiormente, vi sono quelle in cui è visibile il suo corpo senza veli e «le posizioni che assume sono perlopiù raccolte, come quelle di chi vuole proteggersi da un ulteriore offesa. Le sue espressioni, quando non timorose o figlie di un male interiore, sono di profonda austerità». Vi è, ad esempio, una scena in bianco e nero in cui Francesca si trova dietro un telo di carta trasparente su cui scrive il suo nome e, poco dopo, inizia a strapparlo fino a quando ne rimane soltanto il corpo completamente nudo che, dopo un breve sguardo in macchina, si allontana, uscendo fuori campo. Il tutto accompagnato dal sonoro extradiegetico di David Lang. È quindi Francesca che decide quando e come uscire, tanto dall’inquadratura quanto dalla vita.
A queste immagini si contrappongono quelle a colori realizzate dal padre, come detto anche lui fotografo, dopo la morte della figlia e che vedono come protagonista una giovane modella. In realtà, nel film viene rappresentato nel suo farsi il momento della costruzione degli scatti, attraverso video in presa diretta. Il colore trova, inoltre, concretezza nelle opere della madre Betty, ceramista, ritratta mentre prepara materiale per una mostra in Cina.
Vi sono fotogrammi in cui le fotografie in bianco e nero di Francesca “entrano” ponendosi al centro fra le immagini a colori nelle quali appaiono i genitori. In particolare, vi è un caso in cui uno scatto della giovane è centrato rispetto a due immagini della campagna toscana, in cui il colore predominante è il verde. È come se il passato si trovasse circondato dal presente, come a voler suggerire quanto vivo sia il legame che unisce Francesca, non più in vita, e i genitori, ancora vivi.
Dal lungometraggio affiora a chiare lettere l’immagine di Francesca, figura centrale nella narrazione, che risulta essere, al contempo, fotografa, fotografata e oggetto dello sguardo altrui.
Da evidenziare, inoltre, la struttura circolare che caratterizza il documentario, che inizia e si conclude con Francesca, la sua foto e/o la sua voce.
Willis attraverso Subrin e Kraus
Elisabeth Subrin è una regista statunitense che, nel corso della sua carriera, ha più volte presentato i suoi lavori durante festival internazionali, riscontrando spesso grande successo. Nel 2000 Subrin realizza un corto intitolato The Fancy, della durata di 36 minuti, che sul suo sito ufficiale viene così presentato:
The Fancy is a speculative, experimental work that explores the short life of Francesca Woodman (1958-1981), culled only from the public record of published catalogues of and about her photographs. Structural in form, the video radically reorganizes information from the catalogues in order to pose questions about biographical form, history and fantasy, female subjectivity, evidence, and issues of authorship and intellectual property.
In questo corto sperimentale Subrin replica le pose delle celebri foto di Woodman grazie a delle modelle ma, di fatto, i lavori della giovane fotografa non compaiono. Si ha un accostamento di immagini in sequenza che richiamano Francesca e la descrizione viene lasciata a una voice over. Ciò costituisce già un elemento di rilevante distanza fra il corto di Subrin e il lavoro di Willis, che, come spiegato in precedenza, raccoglie numerose foto di Francesca, la sua voce e quella dei suoi familiari. Se, quindi, in Willis vi è spazio per i veri autoritratti di Woodman, in Subrin vi è, invece, una sorta di messa in scena dell’autoritratto, vi sono altri corpi che si espongono per ritrarsi ma non è il corpo del soggetto preminente, ovvero Francesca, ad essere presente. L’autoritratto è, in generale, una libera manifestazione di sé e di gestione della propria immagine. Una pratica artistica che, mai come oggi, viene indagata anche da un punto di vista psicologico e sociologico e che assume importanza in virtù della sua diffusione nell’ambito del mondo social contemporaneo. Qui attraverso l’autoritratto
ci si specchia e ci si deve rassegnare ad assomigliare a quello che ci sta guardando, a quello che ci restituisce lo sguardo interrogandoci sul tempo, sulla vi(s)ta, sulla morte, sulla vecchiaia e sulla vergogna, così come lo sguardo del pittore, che esce dalla superficie pittorica per interpellare chi la guardi, somiglia a una sfida quanto a una scommessa.
Nel caso di Woodman, naturalmente, la scelta estetica dell’autoritratto è lontana da ogni forma di mero narcisismo ed è un modo per esprimere la sua “potente sensibilità”. Ciò emerge con chiarezza nel lavoro di Willis, meno nel corto di Subrin.
Nel 2021, invece, la Marian Goodman Gallery organizza una mostra dedicata a Francesca intitolata Francesca Woodman: Alternate Stories e per l’occasione commissiona otto brevi video che contribuiscono al racconto della fotografa. Uno di questi corti è quello della scrittrice e filmmaker Chris Kraus ed ha la durata di quasi 6 minuti. Come in Subrin, qui vi è l’accostamento di immagini, ma questa volta sono proprio le foto in bianco e nero di Francesca e c’è anche una voice over che parla di lei. Come in Willis, in questo corto vi è circolarità, poiché si apre e si chiude con frames a colori che ritraggono una donna, di cui non si vede il volto, che si arrampica sulla porta e uno specchio. È un video potente, che condensa in pochi minuti gli scatti più forti e popolari di Woodman ed in cui il corpo, suo “strumento” artistico, assume centralità ed emerge prepotentemente. Dunque, Kraus e Willis, diversamente da Subrin, rispetto alla questione dell’autoritratto, compiono la stessa scelta estetica, introducendo nelle loro opere i self-portrait di Francesca.
Sebbene non costituisca un esempio di sperimentazione cinematografica come il corto di Subrin e non abbia la potenza visiva del lavoro di Kraus, The Woodmans presenta una “semplice concretezza” nel tratteggiare Francesca e consente al pubblico spettatore di accedere in punta di piedi e con dolcezza al suo mondo, nonché di conoscerne le Stimmungen.
Brevi conclusioni
L’opera di Willis è essenziale, un racconto affidato “anche” alla fotografia per richiamare alla memoria quello che non c’è più, Francesca, e quello che invece c’è ancora, la sua arte. La forza del film, che non necessita di scelte registiche innovative o azzardate, risiede proprio nel profilo di Francesca, come giovane donna e come artista. Un incontro ben riuscito fra linguaggi artistici eterogenei, cinema e fotografia. La struttura del lungometraggio appare quindi semplice e riecheggia i “classici” documentari biografici dedicati a personaggi noti. Il regista si affida all’alternanza fra le interviste e gli scatti della stessa Woodman per dipingerne la figura, anche sotto il profilo psicologico, per parlare del suo lavoro e delle sue esperienze di vita. Ad esempio, in una scena vi è un primo piano del padre George che, con voce bassa e uno sfondo colorato alle spalle, riferendosi alla personalità della figlia e al suo dramma, afferma:
È difficile dire se Francesca fosse una provocatrice per scelta, una che sceglieva di provocare, oppure semplicemente una provocatrice per natura. Si sentiva come la protagonista di un dramma e questa sensazione le ha dato la capacità di organizzare quel dramma, di farlo funzionare.
Francesca Woodman è stata apprezzata, e lo è ancora molto, dopo la sua tragica morte: «il nome Woodman si sta ritagliando un suo spazio prominente nella cultura di massa, diventando noto presso consumatori più generici di immagini». A lei sono oggi dedicati saggi, retrospettive, i due corti citati in precedenza e, per l’appunto, questo lungometraggio, che ad oggi costituisce un unicum, essendo di fatto un film su Francesca fatto “con e attraverso” la sua famiglia.
Willis ha regalato al pubblico un lavoro che è un ritratto, una testimonianza e un ricordo di un’artista, di una giovane donna che, purtroppo, ci ha lasciati troppo presto.
BIBLIOGRAFIA
- FAETA Francesco e FRAGAPANE Giacomo Daniele (a cura di), Forme e modelli. La fotografia
come modo di conoscenza, Atti del Convegno SISF, Roma-Messina, Corisco Edizioni, 2013.
- «Arabeschi. Rivista di studi su letteratura e visualità»
- «Kasparhauser. Rivista di cultura filosofica»
SITOGRAFIA
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